Intervista a Barbara Santoro

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Cambiare le regole

Come si costruisce un percorso di successo? Seguendo la propria felicità. Parole tutt’altro che retoriche, se ripercorriamo il percorso imprenditoriale di Barbara Santoro, oggi alla guida di Shenker Institute. Un percorso che trova le radici del successo imprenditoriale nella passione di Barbara per l’integrazione culturale, l’innovazione di prodotto ma anche per l’innovazione organizzativa. Perché una donna, quando si trova alla guida di un’impresa, deve avere il coraggio di cambiare le regole.

Come si costruisce un percorso di successo, quale la via da seguire?
Per rispondere a questa domanda le cito una frase di Joseph Campbell (studioso di mitologia e religione comparata, ndr) che dice: “Se segui la tua felicità, ti metti su un percorso che è sempre stato lì ad aspettarti e la vita che dovresti vivere è quella che stai già vivendo”. In queste parole trovo le risposte. Non esistono ricette ma se fai ciò che ti appassiona, fai le scelte giuste per te. Ognuno deve trovare la propria risposta e perseguire il proprio cammino di felicità. Mi sono sempre posta l’obiettivo di non avere rimpianti per non aver sperimentato ciò che sentivo. Non avrei sopportato, ad esempio, di non vivere la maternità. L’avrei considerato un prezzo troppo grande.

Leggendo la biografia, sembrava che il suo percorso fosse tracciato dall’infanzia. Come è passata dal canto alla formazione linguistica?
Sono cresciuta all’estero e ho vissuto l’esperienza della difficoltà dell’inserimento che vive ogni famiglia che deve integrarsi in un paese lontano, culturalmente e geograficamente; un’esperienza che richiede coraggio. La mia passione per il canto risale all’infanzia. Avevo un talento riconosciuto e tutta la mia vita in Canada è sempre stata dedicata alla musica. E sempre la musica, con una borsa di studio, mi ha riportato in Italia dove ho frequentato il conservatorio. In seguito ho vissuto un momento di difficoltà legata a un percorso che sembrava tracciato sin dall’infanzia. La ricerca di una pianista per concerti programmati mi ha fatto incontrare Loredana Franceschini, la vedova di Giorgio Shenker, il fondatore negli anni ’50 dell’omonimo metodo di insegnamento dell’inglese. Il casuale incontro con la pianista, e la mia difficoltà nel realizzarmi in un paese di nuovo lontano dalla cultura che in Canada avevo fatto mia, mi hanno portato a frequentare il mondo Shenker. E mi sono subito appassionata. Mi è piaciuto lavorare sul bilinguismo che, per me, è un’esperienza di vita. Portavo con me un bagaglio di conoscenze legate alla mediazione culturale e sentivo questa attività vicina al mio modo di essere. Mi sono appassionata al lavoro che si faceva in Shenker, volto continuamente alla ricerca di nuovi strumenti, nuove modalità. L’impegno, la ricerca verso soluzioni migliori è un lavoro che mi appassiona. Credo sia stata questa la molla che mi ha portato a diventare imprenditrice.

Un percorso imprenditoriale assorbe molte energie. Come si risolvono le tematiche legate alla conciliazione? C’è un modello che suggerisce?
Essere imprenditrice dà il vantaggio di poter modificare le regole. Purtroppo succede spesso che si seguano le regole della consuetudine. Mentre io ho potuto sovvertirle. Quando la mia bambina è nata, non mi si è posto il problema di ‘andare in maternità’: la portavo con me. Perché potevo farlo, ovviamente. Il figlio, come sosteneva il mio pediatra, è un’appendice della madre, non il contrario, e si adatta allo stile di vita dei genitori. L’importante è che il bimbo senta la loro vicinanza. Questo mi ha liberato dall’idea di dover creare un’esistenza su misura per la mia bambina. Che da subito mi ha seguito nelle mie attività. Certo, nel mio caso era possibile perché era la mia azienda.

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