Pensiamo alla salute

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Su quotidiani e settimanali il dibattito non accenna a placarsi. Da quando Anne-Marie Slaughter ha ‘gettato la spugna’ e urlato al mondo che famiglia e carriera sono incompatibili il dibattito, che già impazzava, non conosce tregua. Tutti si interrogano, nessuno trova risposte. Il settimanale Grazia organizza un dibattito interno: la redazione tutta si interroga. Come dire, non aspettiamo che siano gli altri a darci delle risposte, facciamoci delle domande e rispondiamo prima a noi stessi. Poi sentiamo il resto del mondo cosa ha da dire. Una sorta di analisi collettiva. Una considerazione mi colpisce. Al di là della constatazione che i padri sono sempre più consapevoli del proprio ruolo – e questo è un bene – la differenza la fa il senso di colpa, che scatta sempre e solo nelle donne. E a volte sono le donne ad instillarlo alle altre donne. Confermo. Nel paesino ligure dove passo le mie vacanze non si contano le vicine d’ombrellone integraliste: non puoi lasciare tutto il giorno tuo figlio nelle mani di una tata che parla a mala pena l’italiano, i figli che crescono con le mamme a tempo pieno stanno meglio, se fai tutto rischi di far tutto male. Il campione di riferimento in questione potrà non essere rappresentativo, ma sarebbe sbagliato liquidare la questione snobbando le ‘sagre dell’ovvio’. Si tratta pur sempre dello specchio di un sentire collettivo, e quando si parla di cambi di cultura bisogna partire da lì, dalle opinioni dei vicini, d’ombrellone, di casa o di scrivania. Molto spesso si innescano conversazioni dalle quali mi par di uscire perdente, soprattutto se intervengono i padri del partito anti-tata (mio figlio deve stare con sua madre, tuonano in tanti, come se non fossero le madri le prime a voler stare con i figli…). Ma non mi perdo d’animo. E trovo conforto in ricerche che dimostrano che le mamme che conciliano lavoro e carriera godono di migliore salute, fisica e mentale. A riportare la notizia il quotidiano La Stampa: “Donne sane e felici se il lavoro è a tempo pieno”. I ricercatori della Penn State University e dell’ateneo di Akron che hanno studiato 2.540 donne diventate madri tra il 1978 e il 1995 hanno concluso che riprendere a lavorare dopo la maternità fa bene, al fisico e alla mente. Lavorare, dunque, fa bene. Io mi fido. E voi?

Comments (4)

  • Ho quasi 34 anni e non riesco a pensare all’idea di avere un figlio. Non vedo come sia possibile, considerato che fra lavoro in ufficio, trasporto, pausa pranzo e straordinari, sto fuori casa dalle 07.30 alle 18.00 quando va bene. Sento che non c’è posto per un ragazzino; col mio reddito attuale, riesco a malapena a sostentare me stessa e il mio compagno che ha un lavoro non stabile. Non c’è soluzione. Non per me.

  • Secondo me è profondamente ingiusto sia sentirsi in colpa per le difficoltà di conciliare famiglia e lavoro, sia rinunciare ad un desiderio di maternità per le difficoltà oggettive, anche se capisco lo scoraggiamento. A noi donne è richiesto davvero troppo in questa fase storica e da questa società, quindi almeno noi, con noi stesse, siamo più indulgenti e generose!

  • Concordo con le considerazioni di Chiara: bisogna partire da dentro, quindi da noi donne! Ritengo sia sbagliato abbassarsi a ricatti morali, familiari, socio culturale e lavorativi! Ma basta con questsa storia che la donna deve stare a casa! Che la donna non può conciliare lavoro e famiglia! Basta! E’ giusto provare a fare il possibile per mantenere il proprio equilibrio, assecondando – dove è possibile – i propri desideri. Che questo significhi restare a casa, o lavorare 15 ore, o fare entrambi… o anche non fare figli, penso che l’attenzione vada puntata sul “diritto di poter scegliere”. Poi certo, è sintomatico udire commenti, del tenore: “i figli devono crescere con i genitori. Anche i nonni non vanno bene, perchè poi pretendono di educarli…” Ma va?! Ovviamente, nel momento in cui si demanda a qualcun altro, bisogna essere pronti, in una certa misura, ad aspettarsi che in qualche modo, questo intervento lasci traccia, ma fa parte della vita di tutti. A questo punto, non bisognerebbe neppure demandare l’istruzione dei ragazzi fuori dalle mura domestiche… Per tutte queste ragioni, va da sè che se nell’immaginario collettivo non si deve delegare a nessuno e gli uomini non possoono stare a casa… ci deve stare la donna! Dico questo per dire che in generale, ho proprio la sensazione che sia l’intero approccio al tema “famiglia” a risultare miope. Da qui, spesso ne scaturisce un’abbastanza ovvia discriminazione nei confronti delle donne, specialmente sui luoghi di lavoro. Ma in fondo, siamo in un paese dove la discriminazione la fa da padrone. Discriminazioni per culture diverse, religioni diverse, orientamenti sessuali diversi… perfino gusti di cibo diversi! Questa è l’era della globalizzazione, in tutte le sue declinazioni e il “diverso”, fa paura da sempre. Mi sa che ho divagato, scusate! E’ che su questi temi, c’è sempre tanto da dire.
    Valentina

  • Personalmente ho fatto salti mortali per conciliare una discreta carriera e una famiglia con due figlie oggi di 17 e 10 anni rispettivamente. Ci sono riuscita grazie all’aiuto di mio marito e a qualche rinuncia (sì, ho avuto la possibilità di fare una carriera anche migliore e ho rifiutato). Credo che l’importante (almeno per me è stato così) è fare delle scelte consapevoli e non farsi trascinare dalla corrente quale che sia. Quando ti trovi ad un bivio e devi scegliere, la scelta che fai è per definizione quella giusta, e te ne assumi le conseguenze.

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