Tag: rinuncia

#rubinastaiserena

Scrive Rubina: Ho letto con molto interesse le utili riflessioni riportate sul blog ma non riesco ad essere serena e a trovare e condividere un’esperienza simile alla mia: è vero che i sensi di colpa e le preoccupazioni appartengono più alle mamme che non ai figli ma sarà vero che non ci sono ripercussioni?

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Pensiamo alla salute

Su quotidiani e settimanali il dibattito non accenna a placarsi. Da quando Anne-Marie Slaughter ha ‘gettato la spugna’ e urlato al mondo che famiglia e carriera sono incompatibili il dibattito, che già impazzava, non conosce tregua. Tutti si interrogano, nessuno trova risposte. Il settimanale Grazia organizza un dibattito interno: la redazione tutta si interroga. Come dire, non aspettiamo che siano gli altri a darci delle risposte, facciamoci delle domande e rispondiamo prima a noi stessi. Poi sentiamo il resto del mondo cosa ha da dire. Una sorta di analisi collettiva. Una considerazione mi colpisce. Al di là della constatazione che i padri sono sempre più consapevoli del proprio ruolo – e questo è un bene – la differenza la fa il senso di colpa, che scatta sempre e solo nelle donne. E a volte sono le donne ad instillarlo alle altre donne. Confermo. Nel paesino ligure dove passo le mie vacanze non si contano le vicine d’ombrellone integraliste: non puoi lasciare tutto il giorno tuo figlio nelle mani di una tata che parla a mala pena l’italiano, i figli che crescono con le mamme a tempo pieno stanno meglio, se fai tutto rischi di far tutto male. Il campione di riferimento in questione potrà non essere rappresentativo, ma sarebbe sbagliato liquidare la questione snobbando le ‘sagre dell’ovvio’. Si tratta pur sempre dello specchio di un sentire collettivo, e quando si parla di cambi di cultura bisogna partire da lì, dalle opinioni dei vicini, d’ombrellone, di casa o di scrivania. Molto spesso si innescano conversazioni dalle quali mi par di uscire perdente, soprattutto se intervengono i padri del partito anti-tata (mio figlio deve stare con sua madre, tuonano in tanti, come se non fossero le madri le prime a voler stare con i figli…). Ma non mi perdo d’animo. E trovo conforto in ricerche che dimostrano che le mamme che conciliano lavoro e carriera godono di migliore salute, fisica e mentale. A riportare la notizia il quotidiano La Stampa: “Donne sane e felici se il lavoro è a tempo pieno”. I ricercatori della Penn State University e dell’ateneo di Akron che hanno studiato 2.540 donne diventate madri tra il 1978 e il 1995 hanno concluso che riprendere a lavorare dopo la maternità fa bene, al fisico e alla mente. Lavorare, dunque, fa bene. Io mi fido. E voi?

Edoardo Segantini pubblica sul blog del Corriere della Sera ‘La ventisettesima ora’ un post dedicato alle mie riflessioni sul lavoro femminile. Trovate l’articolo al link: http://27esimaora.corriere.it/articolo/in-bilico-tra-carriera-e-figliperche-non-troviamo-una-risposta/#more-5413

Le donne in bilico tra carriera e famiglia non trovano risposte perché non ci sono, non esiste un equilibrio ma un continuo gioco di sopravvivenza le cui regole sono oscure e differenti per ognuno. Tra i commenti dei lettori mi ha colpito chi scrive che non condannerebbe una donna che decide di stare a casa per star dietro ai figli. Ci mancherebbe! Il punto è che, premesso che il lavoro ci sia (questo è il vero dramma dei nostri tempi), cercare di mantenerlo e allo stesso tempo fare la moglie, e soprattutto la madre, può rivelarsi un’impresa meravigliosamente complicata. E se, come commenta un altro lettore, non c’è una regola che dice che tutto deve essere portato avanti per forza, come mai a ‘scalare le marce’ sono sempre le donne? E poi, perché bisogna sempre ragionare in termini di rinuncia? Non è davvero pensabile impostare relazioni familiari in cui le responsabilità siano davvero condivise?

Scrive Giulia Bongiorno, presidente della Commissione Giustizia alla Camera, sul numero 30 del settimanale Oggi dove condivide con Michelle Hunziker la rubrica ‘Doppia Difesa’, in risposta al messaggio di una lettrice: “Per una donna che voglia almeno tentare di coniugare lavoro e famiglia è fondamentale avere accanto qualcuno disposto a dividere non solo le gioie ma anche le fatiche che i figli portano con sé e che sia capace di vivere il supporto alla carriera della sua compagna non come una concessione ma come il giusto riconoscimento alla sua individualità. Una equa distribuzione delle incombenze all’interno del nucleo familiare è insomma a mio avviso il primo, imprescindibile passo: le consiglio di partire da lì, dalla scelta di qualcuno che la ami e la rispetti al punto da capire i suoi desideri e da aiutarla a non dover scegliere. E le segnalo un libro uscito da poco, si intitola Ci vorrebbe una moglie…”.

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