Intervista a Cristina Storer

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In realtà all’interno delle organizzazioni bisognerebbe valorizzare le diversità…
Certo, perché non siamo di fronte a una battaglia con vincitori e vinti. Secondo me, se di battaglia si tratta, ognuno deve trovare la propria dimensione e il proprio spazio. L’azienda ideale deve dare spazio al valore degli individui. Come in famiglia, ciascuno ha il suo ruolo.

Dopo il primo figlio molte donne rinunciano. A tutte queste donne che pensano di non farcela, cosa direbbe?
Innanzitutto devono guardarsi dentro e capire se veramente stanno rinunciando a qualcosa o se invece è più comodo per loro trincerarsi dietro un ‘non ce la posso fare’. E in alcuni casi è una questione di comodo. Di fronte al non ce la faccio, non c’è come convincersene per giustificare il fatto di non impegnarsi. Ma se gli obiettivi sono alti e magari non si riescono a raggiungere, si può comunque puntare a un obiettivo intermedio. Se in partenza non ci sono obiettivi, perché si pensa di non farcela, allora non ce la si farà mai. Ci vuole molta onestà intellettuale nel valutare le situazioni. Il momento della maternità è unico, splendido. E potendolo fare, è meraviglioso goderselo fino in fondo. Allora, si sceglie di viverlo senza impegni professionali perché è questo il nostro desiderio o perché pensiamo di non essere in grado di conciliare? Conciliare si può. Bisogna essere onesti con se stesse e avere il coraggio di difendere le proprie scelte.

E i sensi di colpa, dove li mettiamo?
Già. Alle donne vengono buttati addosso sensi di colpa da tutte le parti. Perché è ancora diffuso il pensiero che la mamma che lavora è quella che trascura il figlio. C’è una realtà sociale che non incoraggia le più pavide… perché molte donne devono fare i conti con una famiglia che le colpevolizza. Perché lasciano il figlio ad altri, perché trascurano la famiglia. Io stessa vengo da una famiglia che mi ha sempre esortata a non lavorare a fronte della presenza dei figli. Ma bisognerebbe fare valutazioni oneste e oggettive. Perché in gioco c’è la nostra vita. E poi, ad avere in giro per casa una madre frustrata, che vantaggio c’è? Se non ci si mette in gioco si vivrà sempre con il rimpianto di non avere tentato. Meglio provare; poi, se a fronte di un insuccesso si decide di rinunciare, ci si rimetterà in gioco, magari in altri ambiti. Ma con un altro spirito. Bisogna partire con un progetto, un’idea e un modello da seguire. E poi bisogna anche un po’ osare.


 

Cristina Storer è nata nel 1956; coniugata, con due figli di 22 e 17 anni, si è laureata in Scienze Matematiche all’Università degli Studi di Milano. Inizia la propria attività nell’ambito dello sviluppo software ma ben presto sposta l’attenzione verso il project management e il marketing. Opera da sempre nel settore del software e da circa 20 anni si occupa di marketing e comunicazione. Conosce entrambi gli ambiti, software e comunicazione. a livello europeo, occupa posizioni di responsabilità sempre crescenti. Prima di ricoprire il ruolo di Comm ercial Programs Manager Emea per il software in Rockwell Automation, è stata Marketing and Comm unications director in TXT e-solutions.

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