Talent senza management

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Domenica mio figlio Andrea ha compiuto 18 anni. Sono arrivati i suoi amici di sempre a festeggiarlo. La vicenda di uno di loro mi pare però il sintomo di qualcosa che non gira. Studiosissimo, a luglio esce dal liceo scientifico con un bel 100 e lode. Cosa fa? Nulla. O meglio, pensa di andare un po’ all’estero poi si vedrà. Certo, piuttosto che incamminarsi per percorsi standardizzati nei quali non ci si riconosce – gli effetti devastanti ce li ha raccontati Paola Mastrocola nel bellissimo ‘Non so niente di te’, recensione in questo blog al link: http://www.dirigentidisperate.it/index.php/qualcuno-ha-la-vita-che-vorrebbe/ – meglio fermarsi un attimo e valutare il da farsi con attenzione. Ma quando si ha a che fare con un talento, non sarebbe forse il caso – e parlo della scuola – di dare una mano a indirizzare, o semplicemente di aiutare a capire e a capirsi. Premesso che questo sforzo dovrebbe essere fatto con tutti – aiutare i bravissimi è forse anche più facile, la sfida è far emergere il talento che non risulta immediatamente visibile agli occhi – mi domando, ma questi professori che per 5 anni si sono confrontati con un ragazzino evidentemente molto dotato, non sono stati capaci di intuire un’inclinazione, una predisposizione… Lasciamo fuori i genitori, che come ci ha ben rappresentato Mastrocola, vedono quel che vogliono vedere e spesso con fatica accettano orizzonti differenti da quelli che loro stessi hanno prefigurato per i loro figli. Ma quando parliamo di talent management, è sbagliato attendere le soglie di un contesto aziendale per applicarlo. Il lavoro deve iniziare prima. È negli anni della formazione che ci si costruisce il futuro. Così come le facoltà scientifiche e l’informatica devono entrare con più forza nell’orizzonte delle scelte delle donne (e di questo si sta occupando con grande efficacia Roberta Cocco di Microsoft) allo stesso modo il lavoro di orientamento deve assumere una connotazione meno approssimativa. Soprattutto è sbagliato che tutto sia demandato all’intraprendenza del singolo. Della serie, vado agli open day delle facoltà e vedo cosa mi piace. No! Sarebbe ora che il mercato del lavoro fosse regolato da una regia complessiva che, partendo dall’orientamento scolastico, possa garantire un equilibrio tra domanda e offerta di lavoro. I nostri ragazzi devono certamente indirizzarsi verso un percorso che è loro congeniale, ma devono anche essere aiutati a trovare un ‘posto nel mondo’; saranno adulti e cittadini consapevoli se si sentiranno realizzati, se sapranno trovare un loro senso. Per questo il percorso professionale che si sceglie è tanto determinante. Ma forse non tutti ce la fanno da soli. Anche quelli più bravi, a volte, hanno bisogno di aiuto. Ascoltiamoli.

Di mercato del lavoro, formazione, sviluppo, ruolo dei direttori delle risorse umane parleremo domani nel corso della tappa torinese del nostro ciclo di incontri dedicati alle risorse umane. Vi aspettiamo.

Agenda al link: http://www.runu.it/index.php/torino/

Comments (3)

  • Un ricordo dai miei 19 anni, anch’io diplomata col massimo dei voti in un liceo scientifico, e la sensazione di sentire troppe aspettative nei miei confronti, troppe possibilità alternative, troppe difficoltà, poche o nessuna sicurezza.
    Ero scappata a Londra per un anno, per chiarirmi i pensieri, provando a lavorare presso famiglie e ristoranti, tornando poi più leggera e più sicura della mia capacità di cavarmela comunque.
    Era il 79, e ringrazio i miei genitori per la libertà che mi avevano dato. Oggi penso che la confusione e le aspettative nei confronti dei nostri ragazzi siano aumentati ancor di più, siamo sommersi da pareri e consigli (su cosa fare, cosa comprare, dove andare, ecc.), non potremmo semplicemente dare loro più fiducia nelle loro capacità?
    Anch’io ho una figlia e un figlio oggi universitari (23 e 19 anni) e per me la più grande fatica è stata quella di farmi da parte,creare un po’ di spazio libero per i loro pensieri.
    Forse più della regia mi chiedo se non servirebbe uno spazio d’ascolto attento, all’interno del quale ragazze e ragazzi possano mostrare finalmente la loro fragilità e la loro intima bellezza, rafforzarsi e poi prendere il volo.

  • Ho sempre ritenuto che l’analisi dei talenti sia uno dei compiti fondamentali della scuola, in chiave sia di focus formativo sia di orientamento. Su questo ho anche scritto molto. Penso, tuttavia, che, al di sopra di una certa soglia, l’analisi delle competenze non possa più essere compito affidato solo alla scuola e che debbano intervenire competenze specifiche, presenti, ad esempio, nelle società di ricerca dei quadri e dei dirigenti. Ma l’offerta , in questo campo,è molto articolata. Ad ogni giovane e ad ogni famiglia il compito di individuare l’agenzia giusta per sé.

  • Dico certamente una banalità, ma probabilmente i giovani di oggi sono scoraggiati dall’intraprendere un percorso universitario, perchè vedono che i loro fratelli maggiori sgomitano per entrare nel mondo del lavoro. Il nostro sistema di orientamento fa acqua da tutte le parti, e sono tanti i giovani che frequentano università per le quali non sono portati. Anche i più bravi, quelli che si laureano “in corso”, si trovano il titolo in tasca e non sanno che farsene, visto che ci sono già frotte di trentenni ancora in fase di definizione del loro percorso professionale. Penso al mio percorso, già per me stessa ho coltivato il dubbio di aver fatto bene a proseguire gli studi dopo la maturità. Mi sono diplomata nel 1997, ho iniziato a fare dei lavori estivi per poi diventare impiegata. Ero una segretaria, cercai per due anni di tenermi il lavoro e studiare, ma la mia vita di ventenne era schiacciata fra gli impegni d’ufficio e facoltà: lasciai il lavoro, “per laurearmi”, cosa che feci e col massimo dei voti. Ma a 24 anni (era il 2002) mi scontrai con l’amara realtà del difficile tessuto lavorativo che, già allora, era ostico. Tante volte mi sono chiesta “ma chi me l’ha fatto fare, avevo un lavoro, tutto sommato mi piaceva, l’ho lasciato per aspirare a qualcosa di meglio, e dopo pochi anni anche quel lavoro prima snobbato mi era inaccessibile, nonostante avessi proseguito gli studi”. Oggi, col senno di poi, mi vedrei molto bene come logopedista. Alla fine degli anni novanta, un “diploma universitario” era visto col fumo negli occhi, come un percorso di studi di serie B. Avrei fatto bene a seguire il mio istinto e non i consigli maldestri di insegnanti poco attenti alle MIE reali inclinazioni: ho una laurea in psicologia chiusa nel cassetto, perchè quella non era davvero la mia vocazione, e mi sono riciclata in altri settori. Ma mi resta il rimpianto di non essere stata ben indirizzata e capita… Peccato.

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