Qualcuno ha la vita che vorrebbe?

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Siamo sicuri di conoscere le persone che amiamo? In questo fine settimana ho terminato la lettura dell’ultimo libro di una scrittrice che apprezzo molto, Paola Mastrocola che, con Non so niente di te, intende insinuare il dubbio in tutti noi. In realtà il libro circoscrive la questione ai figli e, purtroppo, quando si affronta qualsivoglia tema che li riguarda tutto si complica. Sì perché per un genitore indirizzare i propri figli è la missione più difficile. Ricordo come un mantra le parole del mio caro amico Paolo, che anni fa mi disse che avrebbe potuto affrontare qualsiasi sconfitta professionale ma non avrebbe mai accettato di sbagliare con i propri figli. Nel suo caso sembra giocare bene le sue carte in tutti e due gli ambiti. Ma sbagliare con i figli è facile, facilissimo. Perché abbiamo la sensazione che le strade possibili, quelle che portano al successo, siano già tracciate: le migliori università, le business school – se all’estero meglio – i dottorati di ricerca. Chi non si avvia per questo cammino rischia di rimanere ai margini. Il punto è che bisogna incamminarsi per queste strade a prescindere, perché sono percepite come le uniche possibili, indipendentemente dalle inclinazioni, dalle attitudini ma, soprattutto, dalla volontà. Non sappiamo immaginare percorsi che si allontanino da pericolose standardizzazioni, non riusciamo a immaginare che nostro figlio riesca a trovare un posto nel mondo che sia diverso da ciò che garantisce – secondo una valutazione specchio di tempi che non esistono più – un avvenire sicuro. Senza tenere spesso nel minimo conto le persone che abbiamo davanti. Come dovessimo collocare persone senza sogni. Ma i nostri figli di sogni ne hanno, eccome! Solo che in molti casi non osano esternarli se differiscono troppo da ciò che noi genitori abbiamo immaginato per loro. Ecco che il brillantissimo studente Fil del romanzo ad un certo punto non ce la fa più: ‘regala’ la propria esistenza da studente agiato a un compagno, che può godere della rendita del protagonista per continuare gli studi. Fil intanto scopre i ritmi lenti della campagna britannica e si improvvisa pastore. Il romanzo è un romanzo. Ma nella vita reale sapete quanti studenti simulano percorsi universitari brillantemente inesistenti? Molti. Senza fare troppe ricerche, tra conoscenti ne ho trovati due. Credo dovremmo tutti affrontare seriamente il tema. Perché prima della formazione aziendale viene la formazione alla vita. Formare persone per potenziare skill che non si svilupperanno mai è costoso e controproducente. E imporre ai nostri figli scelte che abbiamo fatto noi al posto loro può avere un prezzo molto alto. Perché un conto è indirizzare alla luce di inclinazioni oggettive, cosa diversa è disegnare un percorso che rispecchi le nostre aspettative di genitori. Qualcuno ha la vita che vorrebbe? Questo il sottotitolo del libro. Giro a voi la domanda.

Comments (5)

  • Credo che quanto scritto susciti una pluralità di riflessioni.
    Tento di sintetizzarle.
    II mestiere dei genitore è uno dei più difficili che io conosca. Da insegnante ho sempre evitato di “rimproverare”, colpevolizzare, i genitori, anche se c’era qualcosa nei comportamenti dei figli che permetteva di ipotizzare un qualche loro errore. Ho sempre fatto del problema uno “studio di caso”, ipotizzando le mie risposte ma facendo sempre presente ai genitori che, comunque, non si apprende e non si evolve se non in un processo per prova, errore, correzione. Feyerabend insegna che anche la scienza procede prioritariamente per errori.

    Indubbiamente, quello dell’orientamento professionale è uno degli ambiti in cui i genitori corrosno il rischio di sbagliare più facilmente, in quanto è molto forte la valenza proiettiva. Sempre da insegnante ho sempre pensato fosse mio compito prioritario la diagnosi precoce dei talenti degli alunni, da ritenere sovraordinata alle letture del mercato del lavoro. Il talento è un fatto stabile, il mercato del lavoro è riferimento assai variabile.
    Ho anche sempre fatto presente ai genitori: a) che dovevano distinguere tra conoscenze, specifiche di ambiti molto definiti. e competenze – problem solving…- trasversali a molti ambiti professionali e non strettamente legate ad un determinato percorso scolastico; b) che, almeno fino alla scuola superiore era l’attenzione all competenze il fuoco da privilegiare. Del resto se penso anche al recente convegno ESTE di Udine sulle risorse umane e non umane, osservo che molti dei manager impegnati nell’ambito della gestione delle risorse umane sono laureati in legge e svolgono in realtà compiti più facilmente riconducibili, dal punto di vista di un percrso formativo, alla laurea in scienze della formazione. Educazioane al flessbilità delle competenze, dunque, e proiezione delle conoscenze anche in prospettiva on the job: senza che qualcuno si senta colpevolizzato o insufficiente ai compiti educativi! Mi accorgo, però, di essere “lungo” e quindi chiudo qui un discorso che meriterebbe ulteriori suggestioni

  • Mariateresa Magarini

    Partiamo dal dato di fatto che i figli, per inesperienza, possono sbagliare più dei genitori. E’ giusto e auspicabile che i nostri ragazzi vengano da noi indirizzati. La “carta vincente” dei genitori è, sempre, il dialogo con i propri figli. E’importante far affiorare le loro aspirazioni, valutarle alla luce dell’esperienza e della conoscenza che noi abbiamo del mondo del lavoro. A volte si può suggerire, sperando di essere ascoltati, che seguire alcuni corsi di laurea, seppur interessanti e che possono arricchire la propria sete di cultura, in questo particolare momento storico, può essere differito dopo aver concluso un corso di laurea che dia un pratico aiuto a costruirsi una professione.

    • La carta vincente è sempre il dialogo. Concordo. E mi soffermo sul momento storico. Il mondo è già cambiato e deve cambiare il nostro sguardo sul mondo. Se nulla sarà più come prima difficile pensare al futuro restando ancorati a paradigmi del passato. Certamente non dobbiamo incoraggiare i nostri figli a seguire percorsi che, con tutta evidenza, ne faranno persone incapaci di ricavarsi un posto nella società (per dire, ci son più avvocati che cause, lasciar perdere giurisprudenza in questo momento mi pare sensato…). Dopodiché concordo con il mio amico Lauro Venturi che ieri ha presentato a Milano il suo libro dedicato alle Pmi del XXI secolo: abbiamo bisogno di filosofi che ci aiutino a immaginare un mondo che non c’è. Se nulla sarà più come prima, il futuro – che ricordo non è materia di previsione ma di progetto – sarà di chi avrà il coraggio di sperimentare, di chi è abituato a fare quell’utilissimo esercizio mentale di mettere tutto in discussione.

  • Sono molto sensibile al tema dei figli. Ne ho uno che ha quasi trent’anni, che a sua volta è padre di una bellissima bambina.
    Ho scritto alcuni numeri fa, su Persone & Conoscenze, della sua scelta e delle sue difficoltà a mettersi in proprio.
    Da quattro anni devo ricoprire, con mio figlio, un ruolo più esteso, essendo venduta a mancare la sua mamma.
    È più complesso interpretare sia il ruolo di chi dà le regole e contiene che quello di chi accoglie e nutre, senza se e senza ma.
    Da uno a mille ci si riesce.
    Credo che i figli vadano prima di tutto ascoltati, sfuggendo alle generalizzazioni e alle valorizzazioni. Non è facile.
    Come non è facile vederli soffrire e quasi, come dei padri cirenei, vorremmo portare noi le loro croci. Ignari che, quando ci siamo messi le nostre sulle spalle siamo cresciuti. E allora vi regalo questa bella poesia di Kahlil Gibran: 
    I Figli
    E una donna che aveva al petto un bambino disse: Parlaci dei Figli.
    I vostri figli non sono i vostri figli.
    Sono i figli e le figlie della brama che la Vita ha di sé.
    Essi non provengono da voi, ma per tramite vostro,
    E benché stiano con voi non vi appartengono.
    Potete dar loro il vostro amore ma non i vostri pensieri,
    Perché essi hanno i propri pensieri.
    Potete alloggiare i loro corpi ma non le loro anime,
    Perché le loro anime abitano nella casa del domani, che voi non potete visitare, neppure in sogno.
    Potete sforzarvi d’essere simili a loro, ma non cercate di renderli simili a voi.
    Perché la vita non procede a ritroso e non perde tempo con ieri.
    Voi siete gli archi dai quali i vostri figli sono lanciati come frecce viventi.
    L’Arciere vede il bersaglio sul sentiero dell’infinito, 
    e con la Sua forza vi tende affinché le Sue frecce vadano rapide e lontane.
    Fatevi tendere con gioia dalla mano dell’Arciere;
    Perché se Egli ama la freccia che vola, ama ugualmente l’arco che sta saldo.

  • Credo che i figli, in quanto nativi del nuovo, ne abbiano percezione molto più precisa, e proiettata sui possibili sviluppi futuri, della nostra. Mi pare, ad esempio, siano molto interessati alle attività artigianali e al conseguente spirito di imprenditorialità. Credo esistano diverse ricerche molto interessanti sulla propensione imprenditoriale dei giovani. Forse siamo noi ad avere in mente percorsi formativi troppo standardizzati…
    Riassumo a mio modo Gibran: i figli vanno amati, e l’amore accompagna senza possedere, prende per mano senza trattenere, lascia la libertà di cadere ed è pronto ad aiutare quando si tratta di rialzarsi…

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