Modelli (femminili) anticrisi

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Le imprese a guida femminile hanno performance gestionali e finanziarie superiori alle medie di settore. Le aziende guidate da top manager donne hanno aumentato più velocemente i ricavi, generato più margini lordi e chiuso più frequentemente l’esercizio in utile. Tra il 2001 e il 2007 le società femminili hanno incrementato i ricavi a un ritmo medio annuo superiore rispetto a quelle maschili in ogni fascia di fatturato considerata. Le imprese con un capo donna hanno anche evidenziato una migliore capacità di generare profitti nel 2007. Quando il Cda è costituito in prevalenza da donne, le probabilità di rientrare in una classe di rating peggiore si riduce del 15% rispetto ai casi in cui le donne sono in minoranza o assenti dal Cda. Tra le imprese che nel 2001 superavano i 10 milioni di fatturato con un board composto da almeno due componenti, solo una percentuale del 13% delle società in cui le donne occupavano la maggioranza o la totalità delle poltrone di comando è entrata in crisi finanziaria o non è più attiva: la stessa percentuale calcolata sul complesso delle imprese è pari al 22%. Non è un bollettino di ‘guerra di genere’. È il risultato di un’indagine curata dal Cerved10, che ha analizzato il ruolo delle donne nelle imprese individuali e nelle società di capitale italiane che hanno realizzato un fatturato superiore a 10 milioni di euro tra il 2001 e il 2007 e pubblicata su Il Sole 24 Ore lo scorso 6 marzo. Ma se vogliamo restare in tema di guerra, non possiamo restare indifferenti di fronte a una paese che 15 anni fa è rimasto vittima di uno dei più devastanti genocidi dello scorso secolo, il Ruanda. Bene, questo paese oggi sta sollevando la testa. L’economia è in forte ripresa, diminuiscono gli effetti devastanti del contagio da HIV e i volti di una popolazione massacrata dall’odio razziale si accendono di speranza. E il nesso dove sta? Il parlamento è a maggioranza femminile. Anche il capo della polizia è donna. L’unica al mondo. Così pare. E le donne che da noi siedono ai posti di comando, le donne che stanno ai timoni delle nostre imprese e hanno in questi mesi la responsabilità di traghettarci fuori da un’economia di guerra (guerra finanziaria, ma pur sempre guerra. Sarà certo meno devastante che la casa venga portata via da un ufficiale giudiziario che annientata da una bomba, ma gli effetti sociali di questa crisi a livello mondiale, e a lungo termine, sono ancora tutti da verificare), come commentano questi dati? Non è che se fino a qualche tempo fa le donne per far carriera dovevano travestirsi da uomini oggi, invece, sono proprio le differenze la vera leva di successo? Abbiamo chiesto un commento a Cristina Zucchetti, giovane imprenditrice che detiene le redini della solida azienda di famiglia. “Penso che le donne abbiano una mentalità improntata all’organizzazione proprio perché occorre un grande senso pratico per conciliare la grande quantità di impegni lavorativi e familiari pianificati nell’arco di una giornata. Questa dote permette alle donne di ridurre al minimo le perdite di tempo sul lavoro e di essere rapide e concrete nel prendere decisioni. Credo, però, sia poco lungimirante per un’azienda soffermarsi sull’appartenenza al genere femminile o a quello maschile nell’attribuzione di poteri e responsabilità ai propri dipendenti. Il valore di una persona si misura dalle capacità, dalle competenze e dalla voglia di mettersi in gioco e queste sono qualità che si possono riscontrare tanto in una donna, quanto in un uomo. In Zucchetti c’è da sempre questa cultura e la dimostrazione che non esistono pregiudizi è data dal fatto che il nostro personale è composto quasi al 50% da donne, molte delle quali con incarichi di grande responsabilità. Nella nostra esperienza, comunque, i risultati migliori dal punto di vista aziendale sono sempre prodotti dai gruppi ‘misti’, ossia da quelli in cui c’è un’equa distribuzione di donne e uomini nello stesso settore”. Il primo commento che mi suggeriscono le parole di Cristina Zucchetti rimanda al tema dei convegni che Persone&Conoscenze affronta quest’anno: ‘Nuovi modi di lavorare insieme’. Non è che sarebbe ora di sperimentare nuovi modi di convivere all’interno delle organizzazioni invece di cercare di imporre all’uno il modello dell’altro(a)?

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