Intervista ad Anna Banfi

Forse però l’essere donna potrebbe contribuire a diminuire questo eccesso di stress che si autogenera in azienda e a migliorare la qualità del lavoro?
Secondo me, se si riuscisse a fare il salto qualitativo di avere un bilanciamento tra l’organico, in modo da avere una situazione di pari merito tra donne e uomini in posizioni decisionali di potere, sono certa che le donne lavorerebbero anche con l’obiettivo di mitigare un certo tipo di stress generato in parte dall’approccio maschile. Un esempio? Fissare le riunioni alle 7 di sera, decisione tipicamente maschile, mentre una donna le fisserebbe alle 8 di mattina; oppure la sensibilità ad avere in azienda, laddove possibile, facilitazioni, asili, per cercare di conciliare meglio gli impegni familiari con l’attività lavorativa. Se ci fossero più donne in posizioni decisionali, sono certa che anche la produttività e i risultati aziendali ne beneficerebbero: ci sarebbe un po’ più di umanità in termini di vivibilità dell’ambiente lavorativo, una migliore organizzazione del lavoro, perché le donne sono grandissime organizzatrici proprio per la capacità di gestire più cose in contemporanea. Una donna riesce a suddividere meglio i carichi di lavoro, a seguire meglio le persone proprio per la sua struttura mentale. Magari è meno specialista, meno tecnicamente orientata e orientabile e questo deve rimanere compito dell’uomo. Però, se si riuscissero a vedere con disincanto le differenze tra talenti maschili e femminili e se si riuscissero ad allocare nelle giuste posizioni uomini e donne in base alle loro capacità, la produttività e la vivibilità in azienda ne beneficerebbero.

Cosa si potrebbe fare secondo lei?
Credo che dovrebbero essere le grandi aziende a muovere i primi passi. Perché sono loro ad avere i muscoli per poter attuare dei progetti pilota e mi auguro che anche l’Italia cerchi di emulare quanto avviene in Europa e in nord America. Bisognerebbe smetterla di relegare il discorso alle ‘quote rosa’ o ai ‘comitati di pari opportunità’ che si parlano addosso, fanno conferenze, scrivono white paper, ma non danno concretezza ai loro intendimenti. Alla fine, di cose fatte se ne vedono raramente, ci sono poche isole felici che restano tali o sperimentali.

Il problema è sociale: bisognerà anche vedere che impatti avrà questa disattenzione verso la maternità…
Il rischio di non dare spazio alle donne porterà nel lungo termine anche a un abbassamento dei livelli professionali. Il fatto che le ragazze preparate non abbiano lo spazio per esprimere il loro talento al pari degli uomini e vengano giocoforza relegate a ruoli operativi o a fare la madre o la moglie, rappresenta un rischio per tutto il sistema. E, anche qui, se si tratta di una scelta, va bene; ma se diventa una costrizione o un ripiego, si rischia anche un impoverimento del know how da mettere in gioco, perché tutte le professionalità femminili non vengono sfruttate. E questo causa una perdita di talento, che ricade anche nella ricchezza di una nazione, nella capacità economica e nello sfruttamento dei talenti imprenditoriali. Perché comunque donne imprenditrici ce ne sono poche, ma quelle che ci sono guidano aziende fiorenti. Allora guardiamo al ruolo che le donne possono avere per risollevare l’economia di un Paese come l’Italia, che non è al top in questo momento. Privandoci delle competenze femminili, impediamo a una fetta talentuosa delle nostre risorse di dare un contributo economico positivo.

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