Intervista ad Anna Banfi

Ci può fare un esempio?
Ad esempio, si dice che la donna sia molto più multitasking, che riesca a portare avanti più lavori in parallelo, che abbia un intuito più spiccato, una specie di radar che le fa riconoscere prima alcune situazioni o prevenire alcune problematiche. Una donna ha una capacità di problem solving più a 360° e pare che le donne siano più generaliste, rispetto a una capacità profonda di analisi degli uomini. In certi ambiti, e quello che io conosco meglio riguarda il marketing e la comunicazione, considerati creativi, si lavora molto su to femminile sembra che abbia una marcia in più e qui pare che le donne riescano meglio rispetto ad altre funzioni più tecniche. Si parla poi molto, e secondo me a sproposito, di una competizione al femminile nelle aziende. Io personalmente, forse perché sono stata abbastanza fortunata, sinceramente non l’ho mai sperimentata, anzi. Ho sempre trovato molta solidarietà e di fronte a promozioni di donne ho avvertito molta compartecipazione da parte delle altre colleghe. Mi sono sempre trovata in situazioni lavorative in cui la solidarietà al femminile è sempre stata forte e positiva. Non so se magari gli uomini amino crogiolarsi in questo stereotipo della ‘competitività al femminile’. Secondo me temono un pochino le donne in certi ruoli e non a caso, a parità di condizioni tra un uomo e una donna, se il top management è maschile, vengono scelti gli uomini per una certa posizione o si fa fatica a riconoscere alle donne un determinato ruolo.

Ci può raccontare la sua esperienza?
Lavoro da tanti anni in una industry che è per tradizione maschile, dove la percentuale di uomini rispetto alle donne, quantomeno in Italia, è sbilanciata; di conseguenza, anche le carriere al femminile si contano sulle dita di una mano. Paragonando la situazione all’estero e misurandomi con il mercato esterno, vedo una presenza femminile numericamente più forte, anche in termini di posizioni ricoperte, più diffusa di quella italiana. Allora mi viene il sospetto che la differenza di genere venga percepita diversamente in base anche alla cultura. Nel nord Europa, ad esempio, la presenza femminile delle donne che lavorano è in percentuale molto più alta. Si danno più incentivi al lavoro femminile che viene incoraggiato, ci sono gli asili nelle aziende. Da noi sono ancora poche le esperienze in questo senso e molte sono sperimentali. Questi sono tutti indici di attenzione per riconoscere o meno opportunità al talento professionale delle donne. Veniamo spesso relegate in ruoli dove lo stereotipo femminile prevede che la donna stia in famiglia o lavori magari con i ragazzi. La donna amministratore delegato viene vista come un’eccezione, le si fanno dei servizi speciali. Io credo che i manager uomini ricoprano posizioni più prestigiose non per la loro superiorità, ma per mancanza di spazi lasciati alle donne.

Si parla molto di diversity. A che proposito?
Io lavoro benissimo con gli uomini e ho sempre avuto capi uomini, quasi tutti illuminati e attenti a quello che io potevo mettere in gioco e a riconoscere i risultati che ho portato. In realtà sono molto riconoscente allo stile di management maschile, quello che riconosce le diversità ma non le penalizza. Adesso si parla molto di diversity, ma il concetto è molteplice. La diversity riguarda la lingua, la razza, il genere e l’età anagrafica. La popolazione dei giovani neolaureati e la popolazione più matura, già professionalmente affermata. Sicuramente la diversity più controversa rimane quella di genere uomo versus donna. Il fatto che venga dichiarata una diversity è la dimostrazione che il problema c’è e non è ancora pienamente riconosciuta semplicemente come diversità di talenti di persone differenti.

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