Intervista a Monica Pesce

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Dal suo punto di vista privilegiato, che consiglio si sentirebbe di dare a giovani donne manager che, proprio a causa del contesto in cui viviamo e lavoriamo, sentono di non farcela e sono sfiduciate? La situazione è molto complessa e sono diversi i fattori che intervengono: tra questi, non possiamo dimenticare un fattore culturale e sociale, legato alla rilevanza e all’importanza che viene data al modo tutto italiano di vivere la famiglia. Che, a nostro modo di vedere, è una ricchezza. Il problema sta però nel fatto che, dall’altro lato, sono stati fatti pochi passi avanti per quanto riguarda il concetto legato ai ruoli. In Italia è ancora molto radicata l’idea secondo cui la cura della famiglia e della casa sono quasi di esclusivo appannaggio delle donne. In una ricerca di McKinsey del 2008 sono stati messi a confronto diversi paesi europei, calcolando il numero di ore che uomini e donne dedicano alla cura della casa. L’Italia si distingue anche in questo per una netta predominanza femminile. Le donne hanno più difficoltà a conciliare un’attività professionale sempre più esigente con una vita privata, anch’essa molto esigente. Nel nostro paese mancano politiche a sostegno non della donna, ma della famiglia, presenti invece in altri paesi europei. Cosa si dovrebbe fare, secondo lei, per migliorare la situazione nel nostro Paese? Credo fermamente nella responsabilizzazione dell’individuo: un’altra caratteristica tipicamente italiana, in questo senso transgender, è quella di non condividere una situazione e lamentarsi, attendendo l’intervento di qualcuno –che sia lo Stato, la scuola, poco importa– invece di agire. Credo che i grandi cambiamenti siano spinti dalla volontà degli individui e dalla capacità del singolo di incidere nel suo piccolo, generando un effetto a cascata. Da questo punto di vista, insieme agli interventi e alle politiche di sostegno, sarebbe importante che ciascuno di noi prendesse coscienza della situazione e cercasse, nel suo piccolo, di modificarla. A partire dall’educazione ai bambini. Come madri e padri, oltre che come individui, dobbiamo intervenire e cambiare certe logiche e comportamenti che spingono alla divisione dei ruoli. Come si racconta nel libro Abbracciare l’orso, gli attori del cambiamento siamo noi; e siamo sempre noi che possiamo recepire le emozioni nel contesto lavorativo, senza necessariamente aspettarci che questo sia ‘imposto’ dalla Direzione risorse umane. Perché i comportamenti imposti non producono reale cambiamento: è l’individuo che prende coscienza dei benefici derivanti da determinati comportamenti e li fa propri nel quotidiano. Il concetto secondo cui i cambiamenti dei singoli, se uniti, concorrono a un cambiamento generale fa fatica a realizzarsi nelle nostre aziende. Le donne possono imporre dei cambiamenti nel momento in cui hanno potere contrattuale: attraverso i risultati ci si può fare promotrici di un cambiamento. Sono d’accordo, anche se secondo me esistono due livelli: uno trasversale ai generi e uno specifico per l’universo femminile. Ma la sostanza è identica. L’Italia è uno dei pochi paesi sviluppati in cui ancora si discute di valutazione della professionalità degli individui in termini di numero di ore trascorse in ufficio. Da anni, nel resto del mondo si parla di Mbo, di raggiungimento degli obiettivi e di efficacia ed efficienza. Che poi gli obiettivi siano raggiunti lavorando in ufficio, a casa o in entrambi i posti, in poche ore o tante, non importa: l’importante è raggiungere gli obiettivi nei tempi prefissati. E questo vale sia per le donne, sia per gli uomini. Sono convinta che nessuno abbia l’ambizione di passare la propria vita in ufficio, rinunciando a una vita sociale o familiare. A questo proposito non accetto che si dia per scontata la disponibilità di persone single o senza figli di rimanere in ufficio fino a tardi, perché non hanno la necessità di dedicarsi alla famiglia. Ognuno di noi ha interessi, amicizie che vuole coltivare. Il tema del work life balance, trasversale al genere, va difeso e promosso. E avere più donne, o uomini illuminati, in posizioni di responsabilità e di influenza sui comportamenti ritenuti socialmente accettabili in azienda porterebbe benefici per tutti. Le persone vanno valutate sulle performance, non sulla base del numero di ore che passano in ufficio. Come sostiene Roger Abravanel nel suo libro Meritocrazia, il tema riguarda la capacità di valutare le persone sulla base del merito: basta saperlo misurare.

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