Intervista a Isabella Covili

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Nelle multinazionali estere ci sono molte più agevolazioni per le donne, nel senso che hanno più tutele, servizi di assistenza…
All’estero è l’idea stessa di ‘famiglia’ a essere diversa rispetto alla nostra. A questa differenza si aggiungono una serie di servizi a sostegno non tanto della donna, quanto della famiglia stessa, a cui accedono indifferentemente uomini e donne. In alcuni paesi del nord Europa, le leggi stesse obbligano le aziende ad avere almeno il 50% delle donne nel board, pena la chiusura dell’impresa. In Italia siamo ancora molto lontani dal recepire questa mentalità.

Secondo lei si stanno prendendo provvedimenti per modificare uno stato di cose che sembra essere molto radicato?
Dipende. Una grossa differenza esiste già, a seconda che si parli del mondo pubblico o di quello privato. Le faccio un esempio: nella sanità pubblica prevale il personale femminile; ma la percentuale di primari maschi è nettamente superiore a quella femminile. Nel privato, fatta eccezione per le aziende più illuminate –ossia le multinazionali che devono seguire procedure importate dall’estero– la carriera femminile è quasi sempre affrontata come un costo, specialmente per quanto riguarda il periodo della maternità. Il primo cambiamento da apportare sarebbe mettere le donne nella condizione di decidere in piena libertà se accettare o rifiutare una determinata posizione lavorativa. Una scelta che oggi molte donne non possono neanche fare perché, essendo condizionate dal carico familiare, sono costrette a rinunciare alla carriera ancor prima di provarci. Ma per poter scegliere liberamente, deve cambiare anche l’idea che abbiamo della famiglia. Perché la gestione familiare non deve e non può dipendere solo dalle madri: bisogna suddividersi i compiti con il marito e anche con i nonni, se necessario. È sbagliato pensare che la ‘cura’, in tutti i suoi aspetti, sia un compito esclusivamente femminile. Così come è sbagliato che le donne occupino delle posizioni di lavoro part-time o a orario flessibile solo per avere più tempo da dedicare alla famiglia, illudendosi di aver compiuto liberamente una scelta, che in realtà si rivela obbligata.

Come si affronta allora il problema?
Non c’è un unico modo giusto. C’è un mix di atteggiamenti che vanno adattati, a seconda del contesto: la voglia di crescere, di impegnarsi sul lavoro, la voglia di essere madre, moglie e allo stesso tempo manager vanno unite al supporto dei servizi, della famiglia e dei parenti. Ognuna di noi trova la sua soluzione ottimale: ma alla base di tutto ci deve essere una forte propensione al voler lavorare, superando qualsiasi ostacolo.

Mettendo insieme desideri e interessi, tuttavia, manca il supporto esterno. Il cambiamento avverrà solamente quando si riconoscerà il giusto valore alla professionalità femminile?
Sì. Pensi chela Francia, ad esempio, ha realizzato una serie di servizi a sostegno della famiglia che sono detraibili dalle tasse. Si sono creati posti di lavoro, perché il lavoro femminile è considerato un bene sociale. La professionalità delle donne può puntare fortemente su alcuni aspetti che oggi sono cari al mondo del lavoro: la condivisione, la motivazione, la concertazione sono infatti caratteristiche più femminili che maschili. Perché allora non dare alle donne la possibilità di svolgere tali compiti? Il fatto è che, nel fare carriera, le donne competono con gli uomini ad armi impari. Perché questi subiscono meno il carico della famiglia da gestire e sono dunque più disponibili, non solo in termini di orario, a lavorare. Il mondo del lavoro è fortemente impostato su un modello maschile. Le riunioni a tarda sera, i meeting di più giorni sono il risultato di una visione del lavoro improntata alla vita maschile.

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