Siamo in vendita?

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Fidati… te la do gratis (la montatura degli occhiali). La diamo a tutti, l’ADSL, dove non c’è. Accanto all’headline dei cartelloni pubblicitari donne, ovviamente, seminude.

Nel nostro Paese si comunica, anche, così. Eppure una riflessione sarebbe d’obbligo. Lo ha spiegato bene Annamaria Testa, esperta di comunicazione e creatività in un’intervista che ha rilasciato a ‘La Repubblica’, dove ha spiegato che “il sistema dei media diffonde modelli di ruolo, stili di vita, sistemi di valori e di desideri, e chiunque lavori con il sistema dei media è tenuto ad assumersi la responsabilità dei messaggi che manda in giro. Le immagini e le narrazioni sono potenti, suggestive, si radicano nella memoria. E dunque sì, anche la rappresentazione pubblicitaria che viene fatta delle donne ha il suo peso”.

Se la pubblicità, con le immagini che propone, ha un ruolo nella costruzione del nostro immaginario, è sempre necessario abusare del corpo femminile per vendere qualsiasi cosa? Il Comune di Milano si è posto il problema e, lo scorso 28 giugno, la Giunta ha approvato la delibera “Indirizzi fondamentali in materia di pubblicità discriminatoria e lesiva della dignità della donna”. L’amica Francesca Zajczyk, Delegata Pari Opportunità Comune di Milano, mi manda il comunicato stampa, che riporto integralmente. Riflettiamoci.

“Per contrastare la diffusione della pubblicità discriminatoria e lesiva della dignità soprattutto delle donne, la Giunta di Palazzo Marino ha approvato le regole per la valutazione dei messaggi da affiggere sugli spazi in carico all’Amministrazione comunale. Gli stessi indirizzi saranno seguiti anche dalle società ed enti partecipati dal Comune. In questo modo la città di Milano rafforza il proprio impegno affinché i cartelloni pubblicitari, a partire da quelli sugli spazi comunali, siano ispirati sempre ai criteri di rispetto delle Pari Opportunità tra donne e uomini e di corretta rappresentazione dell’identità di genere, lontano da stereotipi avvilenti per la dignità delle persone.

Viene garantita così una maggior effettività all’azione del Comune con l’individuazione di 5 tipologie di messaggi ritenuti incompatibili con l’immagine che il Comune di Milano intende promuovere: 1) le immagini che rappresentano o incitano atti di violenza fisica o morale; 2) le immagini volgari, indecenti, ripugnanti, devianti da quello che la comunità percepisce come “normale”, tali da ledere la sensibilità del pubblico; 3) i messaggi discriminatori e/o degradanti che, anche attraverso l’uso di stereotipi, tendono a collocare le donne in ruoli sociali di subalternità e disparità; 4) la mercificazione del corpo, attraverso rappresentazioni o riproduzioni della donna quale oggetto di possesso o sopraffazione sessuale; 5) i pregiudizi culturali e gli stereotipi sociali fondati su discriminazione di genere, appartenenza etnica, orientamento sessuale, abilità fisica e psichica, credo religioso.  

“L’avevamo promesso e l’abbiamo fatto. Un bel lavoro condiviso tra Giunta,  Consiglio e delegata alle Pari Opportunità. Questa delibera vuole sancire il rispetto della persona: non vuole ‘censurare’, ma evitare che il corpo delle donne, ma non solo, sia usato e volgarizzato per meri fini economici”, ha spiegato la vicesindaco Ada Lucia De Cesaris.  

“Sono particolarmente soddisfatta di questo obiettivo raggiunto – dichiara la delegata del Sindaco alla Pari Opportunità Francesca Zajczyk – sia per il contenuto sia per il metodo. Questo provvedimento, infatti, è il risultato di un lavoro comune con le altre figure istituzionali in prima fila sui temi della parità e dei diritti, ognuna con le proprie competenza e sensibilità, come le consigliere Marilisa D’Amico e Anita Sonego. Ma è anche il prodotto di un percorso di ascolto e confronto con esperte ed esperti, professioniste e politiche impegnate su questi temi. A settembre ci saranno una discussione e un confronto pubblico con quelle città con le quali si è lavorato in rete su questi temi, per definire e valutare insieme gli strumenti più adeguati a rendere davvero efficace, o più efficace, l’azione delle Amministrazioni comunali.”

“Si tratta di un provvedimento molto importante – ha detto Marilisa D’Amico, presidente della Commissione consiliare Affari Istituzionali –  frutto di un lavoro che il Comune sta facendo da tempo su questo tipo di argomenti. È fondamentale promuovere il principio di parità a tutti i livelli, anche come assunzione di responsabilità per quanto riguarda la diffusione di immagini femminili. Ora in Consiglio comunale possiamo iniziare a lavorare sui regolamenti”.

“Questa decisione della Giunta – ha affermato Anita Sonego, presidente della Commissione consiliare Pari Opportunità – accoglie il contenuto di una mozione votata all’unanimità dal Consiglio comunale e dà concretezza a quanto discusso nella Commissione Pari Opportunità. La mercificazione dei corpi, soprattutto – ma non solo – di quello delle donne, è un sintomo di imbarbarimento e non di libertà. Quanto deciso oggi non è una censura moralistica, ma un impegno per la dignità e inviolabilità della persona”.

La delibera di oggi è un ulteriore passo concreto importante e innovativo, dopo la recente adesione del Comune alla campagna “Città libere dalla pubblicità offensiva” promossa dall’Unione Donne in Italia (Udi): un passo avanti che conferma l’attenzione di Milano verso il tema della pubblicità sessista e, più in generale, di ogni forma di violenza contro le donne. Va ricordato anche che, per le sue azioni di valorizzazione del ruolo e dei talenti femminili, il Comune ha ricevuto il Premio Immagini Amiche, iniziativa promossa dal Parlamento europeo e dall’Udi.

La delibera approvata dalla Giunta parte dalla considerazione che, oggi più che mai, il tema della violenza alle donne non può essere affrontato senza intervenire anche sull’utilizzo dell’immagine femminile nella pubblicità. Questo nuovo provvedimento, pertanto, continua il percorso dettato dall’Unione europea con la risoluzione n. 2038 del 3 settembre 2008, verso l’obiettivo di valorizzare una comunicazione che si impegni a veicolare messaggi commerciali positivi.

Ancora troppo spesso, purtroppo, la pubblicità presenta un’immagine della donna legata a stereotipi degradanti e volgari, che offendono la dignità femminile pur di promuovere prodotti e servizi. Partendo da questa constatazione, il Comune di Milano ha raccolto il recente appello della Presidente della Camera Laura Boldrini, accanto a tante voci della società civile, mettendo al centro dell’attenzione il tema della pubblicità sessista: un tema strettamente legato a quello drammaticamente attuale della violenza contro le donne.

Dopo aver aderito alla campagna “Città libere dalla pubblicità offensiva” su impulso dell’Unione europea, nei giorni scorsi Milano si è data delle regole contro la diffusione della comunicazione commerciale fondata su qualsiasi tipo di discriminazione e pregiudizio: non solo di genere, ma anche di appartenenza etnica, orientamento sessuale, abilità fisica e psichica, credo religioso. Si tratta di 5 criteri di valutazione – vale la pena precisarlo – che riguardano solo i cartelloni pubblicitari affissi sugli oltre 3mila spazi comunali, ma che hanno comunque un valore alto, concreto e non solo simbolico. Non vogliamo certo “censurare” o fare i moralisti, ma affermare il rispetto della persona. La rappresentazione della violenza, la mercificazione dei corpi per meri fini economici, le immagini volgari e indecenti che urtano la sensibilità comune, infatti, non sono espressione di libertà ma solo un segno di inciviltà. Certo, la sperimentazione di queste regole – frutto di un percorso che ha coinvolto molti soggetti impegnati su questi temi a partire dall’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria – è un primo passo, altri ne seguiranno. A settembre, per esempio, ci confronteremo con un network di altre città – Roma, Torino, Genova, Firenze, Rimini, Vicenza, Ravenna – per valutare come rendere più efficace l’azione dei Comuni. Ma una nuova strada è aperta in netta discontinuità con il passato”.

 

Comments (3)

  • Tutto quanto difende la dignità delle persone è benvenuto! Propongo, tuttavia, alcuni nodi di riflessione.
    Cosa pensa la donna del proprio corpo?
    Riconosce in quel corpo una parte essenziale della propria identità, del proprio fare storia, del proprio relazionarsi con gli altri e con il mondo? Oppure, meramente, ha un corpo, che non appartiene al suo essere e che dunque può rendere oggetto di mercato, come un qualsiasi professionista rende oggetto di mercato le proprie competenze?
    In fondo, la questione della pubblicità offensiva per le donne è nella risposta a questo quesito: qual è per le donne il valore del proprio corpo. Probabilmente non tutte le donne hanno del proprio corpo la stessa percezione e non condividono, quindi, neppure l’individuazione dei mercati ai quali non è opportuno partecipare con il proprio corpo.

  • Aggiungerei che tutte le donne possono fare qualcosa per boicottare pubblicità volgari e sessiste.

    Siamo noi che acquistiamo la maggioranza dei prodotti di cui viene fatta la pubblicità su cartelloni, riviste e in televisione.

    Se smettessimo tutte di comprare determinati prodotti, anche le aziende si accorgerebbero che qualcosa non va nei modelli femminili che propongo.

    Uno yougurt che fa riferimento al sesso, un ammorbidente “sexy” non sono prodotti che mi interessano e io non li compro.

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