#MeeToo

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Il movimento #MeeToo è il soggetto scelto da Time per la copertina dell’anno. In tutto il mondo il grido delle donne si fa sentire più forte e ci confrontiamo con il cambiamento sociale più rapido visto negli ultimi decenni, dichiara il direttore Felsenthal. Le donne reagiscono, chiedono aiuto, anche sostenute dal manifestarsi di una coscienza civile che fa sentire la propria voce. Aumenta la consapevolezza e le donne sono sempre più spinte a denunciare. Ma nel nostro Paese, cosa succede esattamente? Attenta interprete dei fenomeni legati all’universo femminile è la statistica Linda Laura Sabbadini. Crescono le richieste di aiuto, la sensazione è che le donne si sentano incoraggiate a denunciare, complice anche l’accrescere di un clima di condanna sociale. In questo clima l’Istat ha registrato una diminuzione delle violenze nel periodo dal 2006 al 2014. I dati ci fotografano  una maggiore presa di coscienza delle donne, che dimostrano più forza nel contrastare i propri aggressori. Al contempo però le violenze, quando si manifestano, sono sempre più crudeli. Gli uomini, ancora in troppi casi, faticano a non considerare la donna una proprietà esclusiva e quando percepiscono minacciata la loro posizione si scagliano sulle loro compagne con inaudita ferocia. L’analisi di Sabbadini è dunque la seguente: in un contesto dove le donne denunciano di più deve rafforzarsi la rete di protezione sociale. Se crescono le richieste di aiuto significa che sta aumentando il numero di donne a rischio. Non è certo detto, ed è sperabile che non sia così, che ogni caso debba sfociare in un femminicidio ma è urgente presidiare il fenomeno, non sottovalutare ogni singolo caso. Ognuno per le proprie responsabilità. E qualcosa si muove anche nelle aziende. Un esempio virtuoso è il Progetto Libellula promosso dall’azienda Zeta Service. L’obiettivo è avviare un percorso che contrasti la violenza partendo dai comportamenti in azienda, dai linguaggi e dall’abbattimento di stereotipi. Se si riscontra una presa di coscienza collettiva, è importante che ognuno di noi si faccia portavoce di comportamenti che contribuiscano a innescare un cambio culturale. I luoghi di lavoro sono teatro di discriminazioni profonde e, soprattutto, solo in tempi recenti il ‘femminile’ è entrato in azienda cercando di proporre regole nuove. Luisa Pogliana nel suo recente libro Esplorare i confini esamina proprio questo terreno, analizza modalità differenti di governo delle organizzazioni a partire dal diverso sguardo di cui le donne sono portatrici. Gli ostacoli da rimuovere sono i più duri perché, laddove ancora esistono, sono il retaggio di una cultura fuori tempo, che dobbiamo con tutti i nostri mezzi cercare di cambiare. Ma incidere sulla cultura è l’impresa più ardua e, se parliamo di violenze l’approccio del ‘se l’è cercata’ è ancora, ahimè, saldamente radicato. Una cultura che emerge, purtroppo, anche nelle aule dei tribunali dove, come disse Tina Lagostena Bassi nell’arringa conclusiva di un processo per stupro, le donne finiscono per diventare le vere imputate, costrette a difendersi dalle accuse di chi le ha violentate.

Ma torniamo alla cultura. Le donne studiano di più, si laureano meglio ma, come rileva Sabbadini, le relazioni tra uomo e donna non sono ancora alla pari. Un cambiamento negli uomini si percepisce, e questo si vede dalle analisi statistiche. Però dobbiamo analizzare cosa sta accadendo. Non possiamo parlare ancora di piena condivisione, non c’è ancora lo sviluppo accentuato di una vera simmetria. Ed è forse questa la radice di molti mali. Gli uomini scelgono cosa fare e come farlo, le donne no. Gli uomini si attivano di più, riscoprono il ruolo di padri e questo è fondamentale, ma scelgono come farlo, scelgono gli aspetti a cui dedicare più tempo. Gli uomini si immettono nel lavoro di cura, soprattutto se hanno figli piccoli, ma scelgono il gioco non l’accudimento. Le donne sacrificano il gioco per dedicarsi all’accudimento mentre gli uomini scelgono attività che hanno una connotazione più creativa… Ovviamente questo non ci deve portare a sottovalutare che è in atto un cambiamento e questo terreno sul quale gli uomini si cimentano si sta ampliando, ma la strada è ancora lunga. C’è un altro elemento che emerge dai dati e che merita una riflessione. La probabilità di contribuire alla condivisione delle responsabilità familiari aumenta per quegli uomini che hanno una compagna occupata, o con un titolo di studio alto. Tradotto: nelle coppie dove lei, istruita, ha un impiego di responsabilità sarà più facile trovare compagni collaborativi. Questo sta a significare che gli uomini stanno cambiando anche a partire dalla capacità di contrattazione che le donne hanno. Più sono istruite più questo cambiamento si evidenzia, più lavorano più questo emerge. Il fatto spiega anche perché nel nostro Paese la trasformazione dei padri è stata più lenta che altrove. In Italia la percentuale di donne che lavorano è meno della metà, siamo al 48% e questo elemento influisce sull’arretratezza del comportamento maschile in ambito familiare. Questa ‘pressione’ della donna che lavora si è potuta esercitare solo con ritardo e in una percentuale di famiglie ancora minore. In sintesi, molta strada c’è da fare, non solo per gli uomini. Siamo all’inizio di un processo e la nostra società deve creare le condizioni perché la condivisione si sviluppi. Dalla condivisione, e accettazione dell’altro, nasce il rispetto. E sono queste le condizioni per allontanare la violenza dalle case, dagli ambienti di lavoro, dalle nostre vite.

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