Le parole che servono

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Con un minimo di prospettiva storica, possiamo osservare come le cose sono cambiate. Non sono poi tanto lontani i tempi in cui il mondo del lavoro –il mondo che sta fuori di casa– era esclusivamente maschile. Ma allo stesso tempo, guardando al presente e al domani, è evidente un fatto: le organizzazioni funzionano in base a modelli maschili, in base a regole stabilite da un solo sesso. Questa situazione è, evidentemente, fonte di problemi. Penalizza le persone che lavorano e penalizza le organizzazioni: il non tener conto appieno di un punto di vista è rinuncia a una ricchezza, è perdita secca per tutti. Consapevolmente parlo di sesso, così come un tempo si intendeva quando nel mondo della scuola si parlava di classi miste, classi che accolgono, con parità di diritti e di doveri, studenti di ambo i sessi. Parlo di sesso e non di genere. Non mi avventuro in ragionamenti sottili, che pure credo utili, e anzi necessari, lungo il cammino che potrà portarci, con vantaggio di tutti e tutte, verso organizzazioni non condizionate da un solo genere, in grado quindi di garantire a ognuno, ben oltre le ‘pari opportunità’, spazi per ‘lavorare bene’.

Di ragionamenti sottili c’è bisogno, purché a fare questi ragionamenti siano donne che sanno di cosa parlano. Abbiamo letto troppe pagine di ‘esperti’, di guru del management e di sociologi delle organizzazioni e di psicologi del lavoro. Intendo innanzitutto esperti maschi, naturalmente. Ma anche pagine di donne che prima di essere tali si qualificano come esperte: appartenenti alla casta dei professori e dei consulenti. Sono pagine dove l’acribia (‘scrupolosa osservanza delle norme proprie di una disciplina’) è un sottile velo che nasconde l’arroganza: ‘solo noi conosciamo le parole giuste per parlare di queste cose’, ‘solo noi possiamo parlare di questo’.
Si arriva così a libri scritti da maschi che considerano del tutto irrilevante la differenza tra sessi e culture. O peggio, libri che, nel loro argomentare, finiscono per rendere invisibile la differenza. E si arriva anche a libri dove donne che non hanno mai lavorato un giorno in azienda, che non hanno sperimentato cosa vuol dire ‘fare il capo’, ritengono di fornire a donne che hanno lavorato in azienda per una vita consigli e teorie sulla leadership al femminile.
Sono consapevole del fatto che si può studiare un argomento anche senza averne avuto esperienza pratica. Ma c’è una soglia oltre la quale l’atteggiamento è pericoloso. Bisogna diffidare di tutti coloro che si pongono con l’atteggiamento dei benefattori, pretendendo di sapere per conto degli altri cosa è meglio per loro.

Sul tema del lavoro al femminile, del genere, della differenza, credo ci sia moltissimo da dire. Ma, appunto, serve qualcosa di diverso.

A cura di Francesco Varanini
(Tratto dalla prefazione al libro Dirigenti Disperate)

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