Le donne e la difficile arte della delega

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Anche delegare è un’arte. Bisogna avere capacità e personalità per individuare persone a cui affidare compiti di responsabilità. Proprio questo è il dilemma delle donne che devono dividersi tra le fatiche di manager e quelle di moglie, mamma, figlia eccetera.
Chiara Lupi, autrice di Dirigenti Disperate, descrive in prima persona la frenetica attività di quell’universo rosa “costretto” a misurarsi tra famiglia e lavoro e ossessionato dalla mania di perfezionismo o sindrome di Bree, dal nome della protagonista perfezionista di Desperate housewives. «Ci prendiamo tremendamente sul serio  scrive la Lupi nell’introduzione  ricerchiamo disperatamente la perfezione con il rischio di vivere male sia la dimensione professionale, sia quella privata». 
Il libro dà voce a manager e imprenditrici che testimoniano il loro impegno quotidiano nella realizzazione di sé e del percorso professionale che hanno scelto. Senza escludere la maternità.
Nella prima parte Chiara racconta la quotidianità delle donne in carriera. L’autrice, infatti, ha due figli ed è direttore editoriale della casa editrice Este, direttore responsabile di Sistemi&Impresa e si occupa del coordinamento di Persone&Conoscenze. «Manca nel nostro Paese spiega  la cultura della condivisione delle responsabilità. Per cui, mentre una donna deve fare i salti mortali per recuperare magari il figlio all’asilo, all’uomo tutti questi sacrifici vengono meno richiesti. Altri Paesi, anche geograficamente molto vicini a noi, come la Francia, hanno capito che rinunciare ad avere talenti femminili in azienda significa perdere valore.
E hanno avviato politiche concrete di sostegno alla famiglia con il risultato di una forte crescita della natalità». Nel seconda parte del libro sono raccolte diverse interviste di donne che ce l’hanno fatta.. Seppur con immensi sacrifici sono riuscite a non abbandonare la carriera dopo essere diventate mamme. «La mia opinione  conclude l’autrice è che una donna dovrebbe guardarsi dentro e capire, davvero, cosa vuole.
La motivazione ad andare avanti deve essere forte, dettata da una grande passione per la propria professione. Ma se questa passione c’è, reprimerla può avere effetti devastanti e generare nel tempo una profonda insoddisfazione. E poi se abbiamo un lavoro che ci piace sapremo trasmettere ai nostri ragazzi il valore dell’impegno profuso in un progetto, il senso del sacrificio e dell’importanza di trarre soddisfazione dal nostro lavoro. E sono valori importanti, che abbiamo il dovere di trasmettere loro»

(pubblicato su leprotagoniste.org)

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