La scalata

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A Piazza Affari tra i 250 dirigenti più pagati solo 10 di questi sono donne. Come se non bastasse, nel 2017, le 10 top Manager più abbienti d’Italia hanno guadagnato complessivamente 15,9 milioni di euro, mentre le loro controparti maschili, ha riportato il quotidiano la Repubblica, nello stesso periodo hanno incassato l’83% in più: mediamente si parla di 9,4 milioni a testa contro 1,5.

L’auspicata rivoluzione al femminile, spronata dalla legge Golfo-Mosca del 2011 che imponeva di garantire alle donne almeno un terzo dei posti all’interno dei Cda entro il 2022, sembra dunque aver funzionato solo per metà.

Analizzando le statistiche, possiamo affermare che se dal punto di vista strettamente quantitativo i risultati si sono rivelati ottimi (a Piazza Affari il numero di ‘consigliere’ è quadruplicato dal 2011 a oggi), certamente in ottica qualitativa il gap si fa sentire ancora molto.

Basti pensare che nella top 10 dei manager più pagati del nostro Paese non figura neppure una donna. Dobbiamo scorrere la lista fino a includere le prime 50 posizioni per trovare una rappresentanza femminile, anche se sono solamente tre in questo caso e appena cinque nei primi 100.

Non migliora la situazione prendendo in esame le direzioni delle aziende quotate in Borsa: solo il 9% di esse ha alla guida una Dirigente e anche in questa occasione non troviamo assolutamente parità di compensi.

Secondo il report realizzato dall’area studi di Mediobanca, un Consigliere Delegato ha un salario mediamente doppio rispetto a un suo parigrado donna (899mila euro contro 439mila). Una spaccatura che resta aperta anche quando si parla delle remunerazioni dei singoli consiglieri (82mila contro 61mila).

Nonostante il quadro emerso da Piazza Affari non sia particolarmente positivo in termini di equality, l’Italia, in questo caso, non è fanalino di coda in Europa.

Secondo l’Eurostat infatti, la media del Gender gap nel nostro paese si attesta attorno al 5,5%, ben al di sotto della media europea (13,6%).

Sicuramente il tema del Gender gap non fa discutere solo in patria; a partire dal 4 aprile 2018, nel Regno Unito, tutte le società quotate in Borsa con più di 250 dipendenti hanno dovuto rendere pubblico il proprio gender pay gap, basato sui dati salariali del 5 aprile 2017, e il gender bonus gap, sempre riferendosi allo stesso periodo.

A questo proposito è stata creata una pagina web governativa ad hoc, dov’è possibile consultare liberamente la lista delle oltre 10mila aziende britanniche obbligate a pubblicare le statistiche. L’iniziativa di Londra ha improvvisamente messo sotto la lente d’ingrandimento veri e propri colossi, causando non pochi grattacapi alle società coinvolte.

Scorrendo velocemente la lista balzano all’occhio alcuni dati: Per esempio Apple, dove il 71% dei top earners sono uomini, JP Morgan, che ha un gap salariale medio tra uomini e donne del 54% e ancora Ryanair LTD, dove questa cifra sale addirittura al 72%; non si sono salvate neppure le testate giornalistiche, su tutti il Daily Telegraph ha fatto registrare un gap del 35%.

Senz’altro migliore risulta essere la situazione negli Stati Uniti dove, anche se non abbiamo a disposizione dati completi su tutte le posizioni lavorative (dall’impiegato al top manager) come quelli forniti dal Governo britannico, possiamo tracciare un quadro accurato per quanto riguarda le posizioni al vertice delle più importanti società americane quotate in Borsa.

Lo stipendio medio di una CEO, all’interno delle aziende che fanno parte del rinomato Standard&Poor’s 500, per sei volte negli ultimi otto anni (2017 compreso) ha superato quello della controparte maschile.

Il numero di queste figure, sebbene finalmente ben remunerate, è ancora basso (23 nel 2017, in calo rispetto alle 28 del 2016), e spesso, come ha riportato il Wall Street Journal, poche di esse riescono a compiere la scalata alla guida dell’azienda dove hanno iniziato la loro esperienza lavorativa.

(a cura della redazione)

 

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