Genitori al lavoro. Il lavoro dei genitori

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Quando nasce un figlio la tua vita cambia per sempre. A casa e in azienda. Incastrare il ruolo genitoriale con il ruolo professionale è una sfida continua, noi ne parliamo in un libro dato alle stampe questa settimana. Elena Barazzetta, ricercatrice e mamma, inquadra il fenomeno della genitorialità e delle opportunità delle politiche di conciliazione. La narrazione si intreccia con esperienze di giovani genitori, che mettono a nudo insicurezze, fragilità e stati d’animo di chi si trova improvvisamente gettato in un mondo nuovo. Esistono corsi per qualsiasi cosa, ma per diventare mamma e papà non ci sono manuali. È un lavoro di costruzione continua, che le aziende devono saper valorizzare. E questo nel nostro paese non sta accadendo: se la natalità decresce a ritmi vertiginosi anche il mondo del lavoro una responsabilità ce l’ha. Asili aziendali, o interaziendali sono rari, i tempi del lavoro si conciliano ancora male con gli orari delle scuole, i costi di nidi e baby sitter sono folli. Cosa sta succedendo nel nostro paese? All’interno di questa riflessione sulla genitorialità ho riportato la mia esperienza: sono una mamma che svolto il suo lavoro a tempo pieno. Negli ultimi 24 anni ho dedicato ai miei figli tutto il tempo lasciato libero dal lavoro. E il tempo del lavoro si è naturalmente sempre intrecciato con il tempo della vita. Certo, con ritmi accelerati. Di corsa al ritiro delle pagelle, con lo sguardo fisso all’orologio ai colloqui con i docenti, sgomenta di fronte a richieste fatte la sera tardi, quando era ormai remota la possibilità di provvedere ad alcunché, come la scoperta dello sciopero della mensa, quando i supermercati sempre aperti per rimediare a qualsiasi ora il pranzo al sacco del giorno dopo erano di là da venire. Ho sempre cercato la solidarietà delle mamme di corsa come me, ricordo ancora lo sguardo attonito di una di loro di fronte alla richiesta di fornire per il giorno dopo una lunga lista della spesa per realizzare non ricordo più quale manufatto. ‘Sto partendo per una piattaforma petrolifera’, disse scappando nella nebbia di una mattina d’inverno, come dire, lasciateci lavorare… E via di corsa ad accompagnarli al treno per i viaggi con la scuola, per i camp sportivi, di corsa a recuperarli al rientro, meglio se ci si poteva dividere il compito con altri genitori. E sempre in ansia quando si doveva scegliere se rispettare un impegno di lavoro o rimanere a casa a presidiare una brutta influenza, dei bambini, ovviamente, le mamme non si ammalano mai. Ho sempre scelto di rispettare gli impegni di lavoro ma, per onestà, devo dire di essere stata sempre aiutata. La tata che si è occupata di me era ancora abbastanza energica per occuparsi dei miei bambini durante le trasferte o in caso di malattie improvvise e loro, ancora oggi che hanno passato i vent’anni, ricordano con nostalgia il tempo passato con lei, per non parlare delle performance culinarie, inarrivabili… Il tempo è passato scandito dai loro impegni, assecondare le loro necessità è stata, giustamente, la mia ragione di vita. Accanto alla tata c’è sempre stata, e c’è tutt’ora, una nonna molto molto energica, non solo tecnologica e automunita, ma perfettamente in grado di dare ripetizioni di greco, latino, inglese, italiano, storia. Un doposcuola di altissimo livello che oggi, passate le ripetizioni dei tempi della scuola, ha lasciato spazio a servizi di catering. Quando i bambini erano piccoli la nonna aveva paventato di cambiare casa, si era innamorata di un condominio dall’altra parte della città. Mi sono opposta con tutte le mie forze, senza la nonna vicino non ce l’avremmo mai fatta. Quando si dice che i nonni sono il vero welfare non è una frase buttata là tanto per dire. Senza di loro è  difficile gestire una quotidianità che scivola dal nostro controllo. Il quotidiano di un genitore che lavora è costantemente sotto attacco: dalla baby sitter che si ammala, alla scuola in sciopero, alle vacanze scolastiche che, durante l’anno, non è affatto detto cadano negli stessi giorni se due ragazzi frequentano scuole di grado diverso. Ognuno fa un po’ come vuole, mentre tutti sono concordi nel serrare i battenti per tre lunghissimi mesi: da metà giugno a metà settembre la scuola chiude e inizia la girandola dei campi estivi, vacanze studio, e parcheggi di ogni tipo. Intanto i nostri genitori vanno in pensione sempre più tardi e magari sono ancora in forma, con una vita molto attiva, e non hanno tutta questa disponibilità per dedicarsi in maniera così totalizzante ai nipoti o sono troppo anziani per caricarsi sulle spalle la quotidianità delle famiglie dei figli. La sociologa Chiara Saraceno ad un nostro incontro raccontava di ricevere nel fine settimana dai figli degli ‘ordini di servizio’ – cito testualmente – per la settimana successiva. Come dire, dai nonni ci si aspetta, se ci sono e sono disponibili, un’elevatissima efficienza prestazionale. Direi che la tranquillità dei genitori è in molti casi direttamente proporzionale alla loro disponibilità. E poi c’è il problema del back up, averlo è indispensabile. L’asilo nido, l’asilo, il pre-asilo non bastano perché i bambini si ammalano e serve qualcuno sempre pronto a entrare in azione, senza troppo preavviso. Stiamo parlando di servizi ad altissimo valore aggiunto, e costosissimi, se la famiglia non se ne può far carico. Certo, oggi esistono modalità differenti per organizzare il proprio lavoro e le tecnologie hanno dato una grande mano, il lavoro per molti genitori è diventato ‘smart’. Resta il fatto che essere genitori è un lavoro che ti mette di fronte a tante, troppe incertezze, che si sommano alle incertezze del tuo di lavoro: oggi che la fine del posto fisso è stata sdoganata, garantirsi l’occupabilità è già quello un lavoro a tempo pieno. Ed è così che mentre oltre 10 anni fa popolavo la mia rubrica DirigentiDisperate di aneddoti sul mio quotidiano gestito in maniera allegramente rocambolesca, oggi siamo qui a cogliere i frutti di una totale incapacità di leggere le esigenze delle mamme, delle famiglie, di tutte le famiglie. Anche di quelle come la mia, dove siamo sempre stati in tre, io e miei due bambini. Un fenomeno in crescita, quello delle famiglie monogenitoriali, quasi il 16% del totale dove nell’87% di queste il genitore è la madre. Una fotografia che conviene aver nitida davanti a sé quando si parla di welfare, di attenzione alle persone, di esigenze di cura, di conciliazione… I miei scritti generavano allora un grande senso di identificazione, i genitori, le mamme per lo più, condividevano questo senso di incertezza mista ad ansia, perché in qualsiasi momento ti potevano chiamare dalla scuola dicendoti che tuo figlio aveva il mal di pancia o la febbre… la sala medica era già allora appannaggio del passato. E tu dovevi precipitarti a recuperare il pargolo febbricitante mentre magari avevi già un piede sulla scaletta di un aereo, per dire… Eppure tutto questo era il risultato di un fermento, di una genitorialità attiva, chiamiamola così. Mentre ora la sensazione, suffragata dai dati, ampiamente documentati nel libro, è che di fermento ce ne sia molto meno. Il supporto alla genitorialità è un tema affrontato con superficialità, al quale non si riservano politiche di supporto adeguate. Le famiglie nel tempo hanno cercato di organizzarsi. Ora però quel fragile equilibrio che consentiva di colmare i deficit del welfare pubblico sta vacillando e, cosa più grave, sta venendo meno la fiducia. Quando i giovani hanno la sensazione che il futuro non sia una dimensione accogliente, la prima cosa che allontanano è il progetto genitoriale. Risultato? Un impoverimento economico e sociale le cui conseguenze non si faranno attendere.

La prefazione del libro è curata da Riccarda Zezza, CEO di Life Based Value e le narrazioni dei neogenitori sono firmate da Martina Galbiati, Dario Colombo e Federico Perelli.

Il libro è acquistabile a questo link: https://www.este.it/editoria/libri/view/85:genitori-al-lavoro.html

 

 

Commento

  • Ho letto tutto d’un fiato, e con un continuo annuire con la testa, ogni singola riga di questo articolo. Delle verità talmente fragorose la cui eco rimbomba, lo scommetto, nel silenzio degli uffici ancora semi vuoti delle 8.45 di un venerdì mattina, nelle vite e nei cuori di tutti i genitori che lavorano per un c.d. employer. Da Direttore del Personale, da mamma e da lavoratrice mi sforzo di chiedermi come posso contribuire, nel mio piccolo, a fare evolvere questo stato di cose. Avere implementato lo smart working è stata solo una piccola, anche se molto coraggiosa, iniziativa. La verità è che non basta. E con questo “Non Basta” si potrebbe aprire l’ennesimo dibattito, che riempie aule di convegni e scaffali di librerie.. Ben venga la continua sensibilizzazione pubblica, gutta cavat lapidem. Non penso che ne beneficieranno i genitori di figli in età scolare nel 2020 ma, magari, quelli che accompagneranno i bambini a scuola nel 2040 forse, lo auguro di cuore, si. Dipende tutto ed anche da ognuno di noi.

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