Defiscalizzare il lavoro femminile

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L’Italia non sta utilizzando una parte importante del suo capitale umano, le donne. Esordisce così l’articolo pubblicato oggi sulla 27ma ora da Alberto Alesina e Francesco Giavazzi. L’articolo cita dati e percentuali. Emergono fatti noti: la partecipazione delle donne al mondo del lavoro è nel nostro Paese tra le più basse d’Europa. I motivi? Anche questi sempre uguali a se stessi: l’Italia è vittima di un modello sociale che non si sradica: la donna a casa e il marito in fabbrica (cito testualmente l’articolo). Risultato? Un potenziale enorme rimane sottoutilizzato o non utilizzato del tutto. Le donne sono davvero contente così? Ma, soprattutto, possiamo permettercelo? Temo di no. Per questo le istituzioni dovranno mettere il lavoro delle donne nella loro agenda politica. Evitando però misure come gli incentivi, che non incidono a lungo termine, ma con politiche di defiscalizzazione che consentono alle imprese di pianificare a lungo termine e alle donne di costruire percorsi di carriera meno improvvisati. Si sta occupando di lavoro femminile anche il CIU, la Confederazione Italiana di Unione delle Professioni Intellettuali, che vede sempre più donne protagoniste. Il soffitto di cristallo sta infrangendosi sotto la spinta delle alte professionalità femminili, afferma il suo Presidente Nazionale Corrado Rossitto. Due i fattori di questa ‘energia rosa’, come l’ha definita Rossitto: le trasformazioni del nostro sistema produttivo da manifatturiero all’economia della conoscenza e dei servizi, inclusi quelli professionali; in secondo luogo il prevalere, sull’energia muscolare, di nuovi fattori produttivi quali creatività, qualità determinazione, competizione, sostenibilità e percezione del futuro. Tutte caratteristiche femminili. Per far sì però che tutta questa energia entri in circolo c’è bisogno di misure concrete. E’ una questione urgente, come ha detto Alessia Mosca nell’intervista pubblicata sul blog qualche giorno fa. 

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