Il sesso della crisi

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Crisi – Sostantivo femminile. Già. Ma se volessimo dare una connotazione di genere alla crisi finanziaria che sta scuotendo il nostro pianeta, qualche riflessione sarebbe d’obbligo. Partiamo dalla più banale e prevedibile delle domande (per queste pagine, almeno). Se alla guida delle banche d’affari ci fossero state delle donne, il mondo starebbe ugualmente attraversando le tempeste finanziarie di questi ultimi mesi? Non sta certo a me dare una risposta. Mi limito però a raccogliere delle opinioni. Bene, pare proprio che se al posto di Mr. Fuld ci fosse stata seduta una Mrs. Fuld, ecco, forse le cose sarebbero andate diversamente. All’interno del network internazionale che aggrega le operatrici del sistema bancario e finanziario (Woman in Banking and Finance, www.wibf. org.uk) serpeggia la seguente teoria: gli uomini hanno una naturale propensione all’azzardo, mentre le donne al risparmio (anche senza scomodare le guru della finanza d’oltremanica, l’enunciato trova oggettivi riscontri nei comportamenti maschili). Come dire, le donne non avrebbero mai messo a rischio i risparmi altrui. Non in questa misura, per lo meno. Gli uomini invece l’hanno fatto. E ora, come si esce da questo pantano? In Islanda ci stanno pensando due donne, con un obiettivo: portare alla ribalta l’economia reale. Quella che, con le medesime logiche, guida la gestione di ogni bilancio familiare. Il mercato di chi fa impresa e produce, contrapposto al mercato speculativo, quello delle Borse, per intenderci. Tanto per restare in tema. Il mondo è in crisi. Banche e aziende falliscono. Causa-effetto. Ma come mai ci sono supermanager che hanno provocato fallimenti rovinosi e possono contare su un ‘paracadute’ milionario che consentirà loro di fare altri danni altrove? Anche qui. Non lo dico mica io. Si trovano dettagliati riscontri di questa teoria in un libro, La paga dei padroni8, dove si spiega con dovizia di dettagli come le prebende dei manager crescano senza alcun rapporto con il costo della vita e, soprattutto, con i risultati raggiunti dalle aziende. Come mai il Managing by Objective, l’MBO cui tutte le aziende ormai fanno riferimento, per i supermanager non vale? E allora scatta la provocazione. Vogliamo fare un paragone tra gli stipendi dei manager uomini e quelli delle donne? Perché qui il divario raggiunge livelli abissali. Qualche numero, per capirci. Nel 2007 l’amministratrice delegata di Oracle, Safra A. Catz, ha guadagnato 34 milioni di dollari contro i 174 milioni dell’ad di Blackstone (servizi finanziari), di fianco al quale impallidiscono anche i 15 milioni di Indra Nooy alla guida di Pepsi Cola. Per non parlare poi delle liquidazioni. Ricordiamo tutti Carly Fiorina, che è stata alla guida di Hewlett Packard: anche la sua liquidazione, 22 milioni di dollari, sembra poca cosa se paragonata agli oltre 200 ricevuti dal collega, una volta lasciato il colosso farmaceutico Pfizer. Dalla provocazione alla proposta. Altrettanto provocatoria e con pressoché nulle speranze di essere presa in considerazione: allineiamo stipendi e buone uscite dei nostri ‘supermanager’, quantomeno alle buste paga delle signore. Il mondo sta attraversando una fase di recessione. Da qualche parte bisognerà pur cominciare. Il manager fallisce? E qui il genere non c’entra più. Uomo o donna che sia, è avvilente per un risparmiatore che vede andare in fumo i sacrifici di una vita vedere stipendi e liquidazioni milionarie assegnati spesso agli stessi artefici del disastro. Si parla di tornare all’economia reale. Torniamo anche a retribuzioni che non siano offensive per chi, in questo mercato, lavora davvero.

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