Donne ‘o’ lavoro

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Donne e lavoro. Una questione che non si risolve.Giuliano Poletti Ho avuto l’opportunità di inserire, all’interno di una lunga intervista che il nostro Ministro del Lavoro mi ha rilasciato, una domanda che riguarda il lavoro femminile. E mi rendo conto di avere lasciato la domanda per ultima, come il tema si potesse lasciare alla fine, come se l’argomento fosse da ‘ultima pagina’. Come dire, alla fine domando anche questo. E invece, poiché il problema è tutt’altro che risolto, da qui si deve partire. Perché lavoro femminile, crescita demografica, equilibrio sociale sono temi centrali. Certo, i recenti interventi vanno nella direzione corretta. Dai bonus per gli asili nido, destinati indistintamente alle mamme lavoratrici dipendenti e autonome, alla legge sul lavoro autonomo non imprenditoriale che consente di usufruire del congedo di maternità anche continuando la prestazione lavorativa, insieme con il diritto a un trattamento economico per congedo parentale per un periodo fino a sei mesi entro i primi tre anni di vita del bambino. Recente è anche l’approvazione della legge sul lavoro agile, un traguardo atteso per consentire ai genitori di gestire gli impegni familiari con maggiore flessibilità. Certo, qualcosa si muove, anche le politiche di welfare aziendale sono progettate per dare aiuti concreti. Poi però ci scontra con scogli che sembrano insormontabili. Ne abbiamo parlato anche nel corso del nostro Convivio a Napoli lo scorso 22 giugno.

BrancaccioStefania Brancaccio, vice presidente di Coelmo, azienda che produce ad Acerra gruppi elettrogeni, ci ha messo di fronte alla realtà delle cose. I bambini hanno 16 settimane di vacanze all’anno, le mamme 22 giorni, 26 se proprio si riesce a strappare qualche giorno in più. I campi estivi costano 100 euro alla settimana. Se una famiglia ha più di un figlio, come fa? A questa domanda non c’è risposta. Il nostro impianto di welfare fa ancora pesantemente leva sui nonni, l’unico vero welfare di questo Paese. E i nostri giovani, cosa fanno? Se ne vanno all’estero, in quei Paesi dove le politiche di welfare danno più aiuti alle famiglie. E, se ne hanno la possibilità, ci restano. Certo, oggi possiamo dire che se l’imprenditore ‘vede’ il problema, ha più strumenti per dare aiuti. E questo è un passo avanti che dobbiamo riconoscere. Ma possiamo delegare un tema tanto strategico alla volontà, e sensibilità, dei singoli? 

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