Via la bacchetta magica, fuori la fantasia

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Alla presidenza della Camera è stata eletta Laura Boldrini e, nel suo discorso di insediamento ha detto che “quest’aula dovrà ascoltare la sofferenza sociale. Dovremo occuparci di una generazione che ha smarrito se stessa, prigioniera della precarietà, costretta spesso a portare i propri talenti lontano dall’Italia. Dovremo farci carico dell’umiliazione delle donne che subiscono violenza travestita da amore. Ed è un impegno che fin dal primo giorno affidiamo alla responsabilità della politica e del Parlamento”.  Mi sono piaciute le sue parole e prendo spunto da questo evento per anticipare la prossima rubrica che ho scritto per Persone&Conoscenze.
Basta esserci di più per contare di più? La domanda prende spunto dalla recente tornata elettorale che ha visto aumentare di una decina di punti percentuali la presenza delle donne nel nostro parlamento. Rispetto alla precedente legislatura le donne passano alla Camera dal 21 al 32% e al senato dal 19 al 30% con una media di donne elette del 31%. Un parlamentare su tre è una donna e questo lo dobbiamo ai partiti che le hanno messe in lista, il Pd (40%) e il Movimento 5 stelle (38%). Ma chi sono le nuove parlamentari? Non sappiamo granché, ovviamente, il dato certo è che tante di loro sono molto giovani e questo, di per sé, non garantisce un rinnovamento culturale. Perché si potranno immaginare scenari differenti solo se si sapranno imporre dei cambi delle regole. Esserci, dunque, non basta. Come ha scritto la giornalista Maria Teresa Meli, sarebbe auspicabile che una signora arrivasse al Quirinale ma, appena insediata, dovrebbe dimostrare autonomia rispetto al gruppo dei maschi che l’ha messa lì, anche a costo di beccarsi accuse di ingratitudine. Le donne sono portatrici di una differenza che deve portare a modificare alcuni schemi consolidati, deve consentire una nuova lettura dei problemi da affrontare. Prende spunto da queste riflessioni il dibattito che si è tenuto a Milano alla Libreria delle Donne per presentare il nuovo numero della rivista Via Dogana, che propone una discussione proprio su questa ‘nuova’ rappresentanza. Che tipo di relazione si vuole costruire con queste donne appena elette? Con quali obiettivi? Il punto è che sarebbe un errore pensare che molte cose potrebbero cambiare semplicemente perché la rappresentanza di genere femminile ha subito un incremento. E, partendo da questa riflessione, Giordana Masotto –coautrice insieme con Lia Cigarini e Lea Melandri dell’articolo Un sì e tre no– espone cosa si vorrebbe e cosa no dalle nuove elette. Innanzitutto si invitano le elette a costruire con il movimento una relazione politica di confronto nella quale elaborare nuovi giudizi proprio sulla politica istituzionale nella quale vanno ad agire. E questo è il primo ‘sì’. A seguire i tre ‘no’ che vogliono stimolare alcuni conflitti che è necessario aprire. E, aprire delle aree di conflitto, è già di per sé fare politica.

Il primo ‘no’ è una netta avversione a leggi ‘di genere’ come scappatoia per sentirsi dalla parte delle donne. Le donne hanno l’occasione straordinaria non tanto di rinnovare una classe politica quanto di imporre, appunto, un cambio di regole. Non si tratta di riconoscere delle competenze ma di come queste vengono utilizzate. Oggi, scrivono le autrici dell’articolo, le capacità delle donne vengono certamente valorizzate ma senza mettere in discussione un ordine maschile costituito. In poche parole, se le donne servono per risolvere dei problemi, per metter mano a questioni anche complicate ma poi non si fanno azioni concrete per modificare l’ambito all’interno del quale si sostanzia questo agire, non cambierà mai nulla.

Il secondo ‘no’ è un invito a non nascondersi, perché è il concetto stesso di democrazia a essere in gioco. Non si tratta di un tema legato alla rappresentanza ma di ‘qualità’ dei temi che vengono posti all’attenzione: non più questione femminile, ad esempio, ma attenzione verso coloro che rendono possibile il nostro vivere quotidiano e volontà di essere dove si prendono le decisioni che riguardano la nostra vita. Non esserci per legittimare azioni sporadiche in favore della donna come depositaria della cura, ma spostare i problemi ad un livello più elevato: esserci per contrastare regole insensate, che fanno male a tutti. Infine un ultimo appello a non andare avanti con lo sguardo rivolto all’indietro: la nostra Costituzione –scrivono le autrici dell’articolo– non affronta i temi legati alla libertà dei singoli essendo stata scritta quando le donne non avevano libertà di espressione. Sono molti i movimenti di natura costituente –come i movimenti delle donne– con i quali è possibile confrontarsi per incamminarsi su un terreno che porti a un obiettivo comune.

Il messaggio sembra chiaro, e vale per la politica come per l’azienda: le donne, oltre a fare, devono anche riuscire a cambiare il contesto all’interno del quale si muovono. Se le donne mettono a frutto le loro competenze senza modificare i rapporti di potere saranno sempre viste come quelle che si prendono cura di qualcosa, abilissime a risolvere problemi creati magari da qualcun altro. Le famose  ‘fatine del fare’. Ma i cittadini, le cittadine, da chi oggi ha conquistato un seggio, si aspettano molto di più. È ora che le fatine, oltre alla bacchetta magica, tirino fuori un po’ di fantasia e coraggio. Ragazze, stupiteci!

Commento

  • La questione di come una parte del corpo sociale possa diventare punto di sintesi e di rappresentanza di più vasti valori e interessi sociali è una delle più affascinanti della filosofia, e della pratica politica.
    La trattazione ancora più intrigante è quella che ne fa Gramsci, come ricorda Norberto Bobbio, anche se pericolosamente fragile dal punto di vista della democrazia.

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