Ogni arrivo è un punto di partenza

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Al ministero delle Pari Opportunità serve qualcuno che abbia la competizione nel sangue. Qualcuno che sappia cosa vuol dire darsi un obiettivo e lavorare per raggiungerlo. Una sportiva come Josefa Idem, nominata ieri, è perfetta.

Ho maturato questa convinzione perché nelle ultime settimane ho incontrato donne che hanno dedicato la loro vita allo sport: Sara Simeoni e, appunto, Josefa Idem. Campionessa di salto in alto, Sara ha conquistato una medaglia d’oro a Mosca nel 1980 e ha detenuto il primato italiano per ben 36 anni; Josefa ha partecipato a 8 olimpiadi consecutive, compresi gli ultimi giochi di Londra lo scorso anno (la ragazza è del ’63, che il lettore faccia i sui conti), portando a casa 38 medaglie. Qualcosa di speciale in queste donne c’è. Ho incontrato Sara Simeoni in occasione di un convegno organizzato a Cremona –che quest’anno è stata proclamata Città dello Sport– dedicato alle ‘donne in carriera dopo la carriera’. Le analogie tra azienda e sport sono note: saper traslare la capacità di individuare un obiettivo e allenarsi per raggiungerlo nella professione che si è scelta è un gran vantaggio. E infatti chi si è dedicato a uno sport a livello agonistico normalmente riesce ad avviare attività che funzionano. Lo sport, al di là del sacrificio, della dedizione e della costanza indispensabili per ottenere dei risultati, è anche sinonimo di lealtà, rispetto per l’altro, per l’avversario, in primo luogo. Dal risultato del nostro avversario dobbiamo partire per cercare di far meglio, l’agire di uno sportivo trova la sua giustificazione nel confronto con l’altro, con chi ha fatto o può fare meglio di noi. Da questa consapevolezza lo sportivo tra la forza per mettere a fuoco un limite e cercare di superarlo. Poter far riferimento a un impianto valoriale fatto di etica, rispetto e responsabilità è di grande aiuto. Soprattutto di questi tempi, quando l’etica è un concetto talmente fumoso che in pochi se ne curano e il rispetto ha lasciato il posto alla prevaricazione. Quanto all’agire responsabilmente affinché dal nostro operato ne tragga vantaggio il microcosmo di cui facciamo parte –perché non dobbiamo mai dimenticarci che non viviamo soli, i nostri comportamenti, le nostre azioni hanno impatti e conseguenze sull’agire altrui, a casa come in azienda– anche rispetto a questo non tutti hanno le idee molto chiare. Quindi sarebbe bene guardare con più attenzione a chi ha speso una vita intera cercando di migliorare se stesso nel rispetto dell’altro. Possiamo prendere in mano la nostra vita e farne un capolavoro, ha detto Josefa Idem. Certo, darsi un orizzonte in questo momento non è facile. Eppure è proprio quando ci si deve confrontare con grandi difficoltà che bisogna immaginare un nuovo modo per affrontare la vita. “Ogni arrivo è un punto di partenza” ha detto Josefa. Il messaggio è: dopo ogni vittoria bisogna immediatamente cominciare a lavorare per il traguardo successivo. Ma anche dopo ogni sconfitta, subito rimettersi al lavoro. E chi gestisce aziende, in questo periodo, si confronta quasi quotidianamente con difficoltà e sconfitte ma la difficoltà deve rappresentare un nuovo inizio per una nuova sfida. Mettersi in gioco vale sempre la pena. Bene che questo messaggio, soprattutto le donne, lo tengano bene a mente. Certo, ci vuole consapevolezza delle risorse sulle quali puntare, bisogna allenarsi, con metodo, e investire, formarsi, ricercare l’innovazione continua. E sfatare i luoghi comuni: non si è mai troppo vecchi per fare una cosa, non è mai troppo tardi, c’è sempre l’opportunità per mettersi in gioco. Possiamo realizzare ciò che vogliamo veramente, e se tra le cose che vogliamo e amiamo c’è il nostro lavoro dobbiamo aver chiaro che possiamo farlo e lo possiamo conciliare con il resto della nostra vita. La responsabilità dell’orizzonte che ci diamo è solo nostra. Nothing is impossible. Con questa scritta sulla maglietta è uscita di casa due domeniche fa la mia amica Mariateresa che da qualche anno ha iniziato a correre e non si è lasciata sfuggire la maratona di Milano. Ha cominciato per scherzo a correre sugli argini del Po e quest’anno non ha potuto partecipare alla maratona di New York solo perché una brutta infiammazione al piede glielo ha impedito. Certo, noi donne viviamo spesso con la sensazione di vivere missioni impossibili. Chissà perché abbiamo il dubbio di essere vissute come un po’ scomode. Difficile cancellare l’immagine della prima donna che ha partecipato alla maratona di Boston nel 1967 percorrendo il tragitto in un tempo straordinario, 4 ore e 20 minuti. Nonostante i maratoneti maschi tentassero in tutti i modi di farla stare indietro…

Ma parliamo del passato. Josefa non si farà trascinare indietro da nessuno.

 

 

 

 

 

 

 

 

Comments (5)

  • Ricordo Wilma Rudolph che alle olimpiadi di Roma del 1960 vinse 3 medaglie d’oro, tra cui quella dei cento metri, pur avendo alle spalle un a storia di poliomelite ….Un grande esempio di resilienza…

  • Silvia Vegetti Finzi

    Bellissimo pezzo sulle pari opportunità e sulla figura esemplare di Josefa! Sono perfettamente d’accordo che “l’agire di uno sportivo trova la sua giustificazione nel confronto con l’altro, con chi ha fatto e può fare meglio di noi”. Ma accade anche che l’Io dell’atleta si sdoppi e che si confronti con se stesso cercando di superare il record personale. Un obiettivo che chi è giunto al vertice della carriera può mantenere vivo per non adagiarsi sugli allori e, magari, perdere il passo. Che ne dite? Silvia

  • Mariateresa Magarini

    Bell’articolo da cui traspare come la competizione, il raggiungimento degli obiettivi,l’affermazione di sé, il confronto con gli altri, siano componenti determinanti e lo sprone per migliorarsi e migliorare ciò che ci circonda. Sfidare l’età, i ritmi serrati del quotidiano, la mancanza di strutture adeguate per poter praticare un’attività sportiva è già di per sé un grande risultato. Da subito,quando inizia l’idillio con una disciplina sportiva, ci si rende conto che dedicarle tempo ed energie ti porta ad una serenità che ripaga di ogni sforzo. Correre, andare in bicicletta (per citare quello che faccio io), non rappresentano unicamente delle sfide ma anche dei momenti di grande pace in cui ci si sente “la natura addosso” ed è una sensazione molto appagante che aiuta ad affrontare le sfide quotidiane che la vita ci riserva.

  • Grazie per avere ricordato questa bella giornata. Per noi avere avuto ospite Josefa Idem al nostro workshop intitolato alla frase di Papa Giovanni Paolo II ” Prendi in mano la tua vita e fanne un capolavoro” e tenutosi l’8 marzo scorso a Milano è stato foriero di importanti spunti. I temi della responsabilità dell’agire, di difendersi dall’imperante quanto paralizzante cultura dell’alibi e di darsi il continuo obiettivo di migliorare sè stessi sono da anni al centro del nostro lavoro e della nostra riflessione. Personalmente dell’intervento di Josefa ho apprezzato il richiamo all’importanza di sbagliare e di non farsi per questo inibire, ma anzi di farne strumento di crescita. Tema che si ricollega alla consapevolezza della nostra grandiosa e umana vulnerabilità personale, arma potentissima e vero e unico strumento di conquista di libertà.

  • Non più grande di un sassolino,distrattamente l’ho sentito sotto le dita.
    Devo partire per Londra, ho promesso a me stessa che voglio divertirmi intanto che corro i 42 km
    della Virgin London Marathon, voglio godermi le belle strade di Londra,
    il tifo caldo e rumoroso e poi la soddisfazione, la gioia che ti da correre per ore.
    Sulla maglietta ho stigmatizzato il mio entusiasmo e ho fatto stampare: Ma Quanto Mi Diverto!
    Il sassolino è lì.
    Prima di partire effettuo i controlli del caso.
    Mentre corro per le strade di Londra sono felice.
    Al traguardo arrivo emozionatissima.
    Per giorni non ho notizie.
    Mi illudo.
    Poi la telefonata.
    E’ una bella mattina di sole e quel nome, carcinoma c5 invasivo, arriva come una stilettata.
    Vado in tilt… ma è solo per un attimo,sono un’atleta,percorro maratone in tutto il mondo,
    lui è un sassolino.
    Operazione, ricostruzione, convalescenza, terapia… e una gran voglia: tornare a correre!
    Lo dico all’oncologo,al chirurgo,agli amici ma soprattutto a me stessa,
    tornerò a correre anche meglio di prima!
    Lentamente ma con grande ostinazione, riprendo ad allenarmi.
    Oltre al corpo alleno la mente. Devo pensare positivo lo sport mi aiuta, in alcuni momenti mi è indispensabile.
    Intorno a me ho il grande affetto
    della mia famiglia, dei miei amici e anche loro tifano forte per me.
    Riprendo a correre le maratone.
    Berlino, Firenze, Miami, Barcellona, tutto bene ma l’appuntamento che aspetto come fosse un
    riscatto personale verso il male che voleva fermarmi è a Londra.
    Questa corsa ha un sapore tutto speciale, voglio dare il meglio di me, voglio dimostrare chi ha vinto
    ad un anno di distanza.
    Durante la corsa mi accorgo che ho come una marcia in più
    Oddio come corro bene!
    Corro e man mano lascio sull’asfalto l’ansia, la paura, la tristezza e tutto quello che di negativo
    l’esperienza della malattia mi aveva procurato.
    Sto correndo via dal ricordo del sassolino e mi riesce alla perfezione.
    Concludo la corsa stracciando di 20 minuti il mio miglior tempo!
    Ho vinto!
    Sono felice.

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