Nuove pratiche di management o buonsenso?

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Il pensiero femminile, quando produce innovazione, si chiama buonsenso. Si fatica ancora ad attribuirgli la dignità di ‘nuova pratica di management’. Ricevo questa riflessione dall’amica Luisa Pogliana e, con piacere, la condivido.

 

Un incontro con Lisl Klein: “Il management come lo vedete voi è ‘transizionale’”

Lisl Klein è morta circa un anno fa.

Lisl Klein ha lavorato strettamente con Joan Woodward, la sociologa che fondò più di cinquant’anni fa gli studi empirici di organizzazione industriale. Ricerche che hanno smentito il valore universale dello Scientific Mangement -there is no one best way- contribuendo a definire la contingency theory[1]. A Klein sono arrivata cercando materiali sul folto gruppo di donne che ha collaborato in questi studi: la stessa Klein -la più importante di queste studiose-, Margaret Simey, Marie Jahoda, Nancy Seear, Silvia Shimmin, Dorothy Wedderburn, Enid Mumford, Margaret Stacey. In continuità con il pensiero di Martha Beatrice Webb, co-fondatrice della London School of Economics.

Avevo chiesto di incontrarla perché volevo chiarire alcuni aspetti di quella esperienza. Ha accettato, e ci siamo viste il 14 novembre 2014. Di quell’incontro ho scritto alcuni passaggi.

Lisl Klein, 86 anni, è bloccata su una poltrona per una grave artrite. Mi accoglie nella sua casa di Londra, sola con tutti i comandi per aprire la porta, il termostato ecc. Iniziamo raccontando di me, dei libri (soprattutto Le donne il management la differenza, che le regalo), dell’associazione Donnesenzaguscio. E del nuovo progetto che abbiamo in corso.

Spiego di cosa vorrei parlare con lei. Prima di tutto, se il fatto di essere donna abbia influito sull’approccio di Woodward: verificare nella realtà delle aziende le teorie accademiche. Faccio ipotesi: perché come donna era più radicata nella vita reale? Meno formata a seguire modelli definiti? Senza obiettivi predefiniti nel suo progetto di ricerca, più disponibile ad accettare i risultati della verifica? Klein ha scritto un capitolo su questo aspetto (in una pubblicazione di Dorothy Griffith): Woodward non era femminista. Dico che non è necessario essere femminista. Nemmeno molte manager che conosco userebbero per sé questa definizione, ma si tratta di essere consapevoli che le donne hanno un punto di vista differente nella vita e lo portano anche in azienda. Su questo annuisce, d’accordo.

Riconosce che essere radicata nella realtà era una caratteristica di Joan, ed è una differenza rispetto agli uomini: ‘Joan was very grounded in the reality’. Racconta un episodio: durante un congresso in Francia, vedono la presentazione di un ‘Laboratoire’ (lo dice con ironia sull’altisonanza francese), che valeva la pena approfondire. Lisl propone di fermarsi nel fine settimana per incontrare queste persone. Ma Joan risponde: ‘No, I want to come home for the Sunday lunch’. Come esempio di legame con la realtà, cominciando dalla propria vita famigliare. Commento che questo è delle donne: non separare i pezzi della vita, il lavoro non è dominante su tutto nella vita. Lei annuisce con la testa.

Aggiunge che in quell’epoca anche molti uomini nell’accademia erano più realisti di oggi, nel senso di prestare più attenzione alla realtà. Cosa succede oggi nell’università? Gli uomini non vogliono riconoscere debiti alle teorie e scoperte di chi li ha preceduti, vogliono inventare la loro, perché l’università premia chi porta qualcosa di ‘nuovo’ anche se non costituisce uno sviluppo, magari solo un altro nome a cose note e rimaneggiate. ‘University train students to do research not to use them’. Promuove teorie senza curarsi degli effetti pratici. Invece -dice- è più importante fare effettivamente uso di quello che tu sai già, non l’innovazione solo teorica.

Le chiedo poi come spiega quella forte presenza di donne nell’università dedicate alla ricerca empirica nelle aziende, al tempo di Woodward. Mi ripete (me lo aveva già scritto) che c’erano altrettanti uomini. Io le mostro il sito del suo Bayswater Institute dove si valorizzano queste donne come “l’avanguardia dell’epoca d’oro della ricerca sociologica inglese”. L’episodio è curioso: non ci crede, poi vede con sorpresa che ho ragione. Insisto: in ogni caso nel dopoguerra non era ‘normale’ trovare così tante donne in posizioni rilevanti nell’università e con finanziamenti per la ricerca. La sua spiegazione è storica: in quegli anni il governo laburista voleva spingere lo sviluppo delle aziende manifatturiere, per cui finanziava molte ricerche che fossero applicabili, con un obiettivo pratico, e dessero risultati entro 3 anni. Ne ricavo la conclusione che l’abbondanza ha permesso anche l’accesso alle donne, altrimenti sarebbe stato più probabile che gli uomini -più potenti- si accaparrassero molto di più. Ma lei su questo è cocciuta: ‘Before asking for an explanation, you have to define if there is something to be explained’.

Veniamo poi alla questione del ‘buonsenso’, che lei ha spesso trattato. Dico: le donne agiscono non partendo da teorie e modelli, guardano alla situazione reale che hanno di fronte, e cercano la soluzione che ritengono più giusta e adatta. Ma poiché le donne non passano da teorie acquisite nella cultura di management, queste pratiche non sono riconosciute, liquidate dagli uomini come buonsenso. Invece è così che nascono nuovi pensieri e nuove pratiche di management.

Lisl conferma: ‘Common sense: I still have this problem today, to get recognised the value of what you do, if you don’t use a theoric name for it. But your common sense is your experience. I instinctively look in a contingency way’.

Proprio per questo -dico tornando al nuovo progetto che sto sviluppando- vogliamo mettere in un pensiero organizzato i criteri emersi dalle nuove esperienze di donne manager. Le presento i punti essenziali. Lisl trova tutto sorprendentemente interessante (‘very interesting, very interesting what you do’)[2] Si fa spiegare alcuni concetti. Soprattutto quando dico che la contingenza stimola le soluzioni, ma le soluzioni non devono essere contingenti, ma cambiare la cultura aziendale. ‘Make me an example’ mi chiede. Ne faccio alcuni. Li trova notevoli (smorfie ammirate e piccole esclamazioni di sorpresa), segnalerà queste storie a chi ha lavorato con Marie Jahoda e a Lotte (credo sua figlia, docente di management al MIT). Ripete più volte i nomi delle donne che io cito, mette graffette in quei punti del libro. E mi dice una cosa illuminate.

Questo modo di essere manager che sente raccontare da me, è un approccio ‘transizionale’, un’applicazione al management della teoria dell’oggetto transizionale di Winnicot: l’orsetto, la copertina… quegli oggetti che per il bambino fanno da ponte nel passaggio dall’infanzia verso il futuro che non si sa come sarà. Perché ‘It’’s not having immediate answers, it’s exploring more what could come’.

Infine il commiato.

Chiede se possiamo tradurre il libro in inglese (rispetto al suo editore, il mio è un colosso). Le piace moltissimo la copertina di Pat Carra (smorfia di sorridente sorpresa). Quando le dico che abbiamo venduto quasi mille copie -sono 900 e qualcosa, ma fa lo stesso- era incredula: ‘More than all my books together’. Dopo due ore l’ho lasciata.

Mi ha salutata dicendo che vuole rivedermi con il nuovo testo: ‘if I will not die’.

Io sono uscita felice e divertita. Camminavo per aria anche se diluviava.

Ero grata a questa grande studiosa che ha ascoltato e voluto imparare da donne senza titoli che però agiscono con coraggio e ragionano sul valore di quello che fanno. 

E voi direte: In fondo cosa c’è da essere così contenta? C’è che mi pare un grande riconoscimento. Mi pare che stiamo facendo qualcosa che ha persino più valore di quanto pensiamo.

Avrei dovuto incontrarla ancora in questo periodo, tornando a Londra con il mio lavoro quasi finito. Mi manca questo incontro, mi commuove l’assenza, ma sono contenta che Lisl sia ricordata e che sarà presente nel nuovo libro.

 

 

[1]    Di Woodward ho scritto qui http://www.donnesenzaguscio.it/index.php/there-is-no-one-best-way-joan-woodward-cinquantanni-dopo-una-maestra-e-le-autodidatte-3/

[2]    Questo progetto sarà contenuto in un libro di prossima pubblicazione presso Guerini (titolo provvisorio: Come le donne governano le aziende. Pratiche che rigenerano le teorie)

 

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