Modello cercasi

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Il maschio crolla e non c’è niente da ridere”. Titola così la sua rubrica Maschile/Femminile Marina Terragni sul settimanale Io Donna. “Papa che lascia, capitalismo in bancarotta, finanza tossica… – scrive Marina – uno strazio che è il sintomo acuto del collasso di una civiltà”. Nella costruzione del nostro presente qualcosa deve essere andato storto. Ma una via d’uscita ci sarà se tutti saremo disposti a sperimentare altri modelli, a vedere le cose da altri punti di vista. Molti sono gli spunti che ho ritrovato con la rubrica pubblicata sul numero di gennaio/febbraio di Persone&Conoscenze e che riporto qui.

L’uomo di successo è apprezzato, la donna di successo è antipatica. Partiamo dalla considerazione di Sheryl Sandberg, a capo del social network che ha cambiato il nostro modo di vivere le relazioni. In peggio, secondo me. Ma non è questo il punto, facciamo un passo indietro. Per scalare i vertici delle gerarchie aziendali le donne assumono per lo più comportamenti maschili, il modello funziona, perché sperimentarne un altro? I rischi sono altissimi: per le donne, ovviamente. Il tema lo abbiamo affrontato più volte e non è l’oggetto di questa riflessione. Ma siccome questo fatto della necessità di emulare comportamenti maschili scatena sempre un dibattito intenso, da giorni mi frulla in testa un pensiero che vorrei condividere.

Sintetizzo. Per conquistare posizioni nella gerarchia aziendale, le donne devono esibire qualità maschili, dimostrare di saper stare nel ‘club’. L’esercizio del comando richiede doti che è bene dimostrare di avere. E mi avvicino al dubbio che mi attanaglia. Può darsi che queste richieste fossero ragionevoli qualche decennio fa, quando le prime donne bussavano timidamente alla stanza dei bottoni (non ci dimentichiamo che la magistratura ha aperto le carriere alle donne nel 1963), le aziende andavano bene –sicuramente meglio di adesso– ed era complicato sradicare un modello funzionante. E socialmente accettato. Nella stanza dei bottoni c’erano uomini, per carità mica tutti fenomeni, ma che nella maggior parte dei casi ispiravano autorevolezza, pensiamo ad Adriano Olivetti, Enrico Mattei, Gianni Agnelli, giusto per fare dei nomi.

Oggi, questi esempi di comportamento maschile da emulare, dove sono? Schiere di manager deprivati di spirito critico, e interessati unicamente ai bonus da intascare a fine anno, si sono asserviti ai poteri forti che hanno contribuito a distruggere l’economia reale per fare spazio alla speculazione finanziaria. E i risultati sono qui da vedere. Nel frattempo le donne hanno studiato e hanno dimostrato di saper fare, bene, e in ogni ambito, hanno dato prova in pochi decenni di una elasticità straordinaria: hanno abbandonato il ‘ruolo unico’ diciamo così, di vestali del focolare domestico per abbracciare più ruoli: sempre mogli e madri, ma anche donne che, avviate in un percorso professionale, possono dare ottime prove di sé. In sintesi, le donne hanno dimostrato di saper fare, e anche bene, sradicando un paradigma culturale che aveva scelto per loro un ruolo, e uno soltanto. Un’elasticità che in tempi di crisi torna molto utile, abbiamo sottolineato più volte come l’uomo si identifichi con la propria scrivania, se gli togliete il job title dal biglietto da visita, fatica a ritrovarsi. Per le donne è diverso, l’identità passa anche per la famiglia e la maternità, la costruzione del proprio sé segue un altro percorso di crescita. Bene, questo fenomeno è esploso negli ultimi 4 o 5 decenni e gli uomini, come hanno reagito? Hanno capito cosa stava accadend0? Si sono interrogati sulla dirompenza del fenomeno? A me sorge qualche dubbio… Le aziende sono popolate da uomini e donne del nostro tempo, ma chi sono questi uomini che stanno in azienda? Ma, soprattutto, siamo sicuri che i loro atteggiamenti e comportamenti, vadano sempre emulati? La premessa che le generalizzazioni sono pericolose è doverosa. Ma non è possibile secondo me sottovalutare quel che sta accadendo. Torniamo alla prima domanda. Come hanno reagito gli uomini a questo spazio che le donne hanno occupato nella società civile, nelle istituzioni, nella politica? Male, direi, malissimo. L’idea che la donna abbandoni una posizione ancillare e diventi arbitra del proprio presente non la digeriscono proprio. Cosa fanno? Spariscono –perché il confronto ‘alla pari’ diventa impegnativo– oppure passano a soluzioni più drastiche, uccidono. Perdonate la crudezza, ma i giornali li leggete anche voi. In merito alla seconda reazione non spendo una parola di più. Mi soffermerei invece sulla sparizione del maschio. Mi ha aiutato in questa riflessione il libro di Simone Perotti, Dove sono gli uomini? Il giornalista si è confrontato con le donne del nostro presente, con quelle più sole, tra i 30 e i 50 anni e ha cercato di indagare le cause di tanta solitudine. Mentre le donne, sostiene Perotti, sono passate da questo a quello, mamme, mogli, casalinghe, single, lavoratrici con o senza figli, autonome sul piano sentimentale e sessuale, gli uomini non saprebbero ancora fare il percorso inverso, giusto o sbagliato che sia. Gli uomini sono impauriti, in crisi, incapaci di reagire di fronte a un mondo che cambia. E qui mi ricollego al punto di partenza del mio ragionamento. Se gli uomini, diciamo alcuni uomini, stanno vivendo una fase di disorientamento così grave, difficile pensare che questo disorientamento non impatti anche sulla sfera professionale. E allora, ha ancora senso arrovellarsi sui modelli maschili da imitare?

 

 

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