Le mamme che fanno crescere le aziende

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Il 54% delle donne, mamme, con figli che hanno meno di 18 anni esce di casa per andare al lavoro con la sensazione che, forse, starebbe meglio stare a casa. Questo accade negli Stati Uniti. In Italia, a sensazione, la percentuale è anche maggiore. Va bene che noi siamo i maestri nell’arte di arrangiarci, ma il nostro welfare è davvero poco attento a questo tema. Dove non arrivano le istituzioni arriveranno, forse le aziende: l’attenzione ai bisogni delle persone, e delle donne che diventano mamme, è la sfida che si devono porre i direttori del personale. E di questo abbiamo parlato lo scorso 12 ottobre a Milano al nostro evento dedicato al welfare aziendale. Ma se l’attenzione ai bisogni non va di pari passo a un cambio culturale non si va da nessuna parte. Le donne che diventano mamme tendono ad essere percepite come meno affidabili. Certo, con una rete di supporto meno precaria come quella che esiste nel nostro Paese, le nostre mamme potrebbero affrontare la giornata di lavoro con un po’ più di serenità. Noi viviamo in balia dell’imprevisto, la gestione di un bambino all’asilo, o a scuola, richiede abilità di pianificazione degne di manager navigati. Anche per questo le donne, per svolgere il loro compito di mamme, sviluppano competenze soft che le aziende farebbero bene a osservare con meno superficialità. Riccarda Zezza ha addirittura ideato un percorso formativo, MaaM U (che si è aggiudicato la menzione Premio Speciale Formazione Sociale all’edizione 2016 del nostro Premio Prodotto Formativo). Il problema di fondo è che se si stanno incentivando le politiche di welfare, c’è ancora molto da lavorare sulla cultura. La valutazione è ancora parametrata sull’efficienza e meno sui risultati e i modelli di riferimento scarseggiano. Le donne che raggiungono posizioni di responsabilità devono avere il coraggio di mettere in pratica regole nuove, uscire dai confini conosciuti e proporre nuove modalità di organizzazione del lavoro. E di questo parleremo nel nostro appuntamento dedicato al Diversity management in programma il prossimo 15 novembre a Milano.

Nel frattempo è nata Mila, la bimba di Martina, che ha gestito quasi tutti gli eventi da che la nostra casa editrice ha deciso di pianificare incontri con i nostri lettori. Tutti conoscono e hanno apprezzato la sua professionalità, la sua cura per il dettaglio e la sua volontà di portare a termine lavori fatti bene. Anni di contatti con il nostro pubblico hanno modellato le sue competenze di marketing, ed è di questo che ha iniziato ad occuparsi ormai diversi mesi fa. La maternità è un evento che lascia spazio all’azienda per riprogettarsi, ed è così che anche noi abbiamo modificato la nostra organizzazione. Un esercizio che sta facendo bene a tutti, che lascia spazi di crescita per chi se li vuole prendere e che impone a tutti di riflettere sul fatto che le aziende hanno bisogno di persone che sanno immaginarsi anche in altri ruoli. E che sono disposte ad imparare per occuparli. In questo momento non è importante sapere quando Martina tornerà e quante ore potrà dedicare al lavoro (tutto questo è scontato, l’organizzazione ha bisogno di regole e non sto mettendo in discussione questo fatto). In questo momento è importante sottolineare che le organizzazioni non devono rinunciare alle competenze ma sostenere le persone che di queste competenze sono espressione. Ricordiamoci che il sostantivo ‘dipendente’ è fuorviante. Non è la persona che ‘dipende’ ma l’azienda che cresce solo se ha persone di valore intorno a sé.

Benvenuta Mila.

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