Ladri di futuro

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Se andiamo avanti così, tra poco ci troviamo indietro di un secolo buono. Questa l’affermazione che Enza Fumarola, ai vertici di un’azienda nel settore ICT (trovate le sue testimonianze in questo blog) ha fatto tempo fa quando ci siamo ritrovate a chiacchierare di lavoro femminile. Non sbagliava affatto. Tante discussioni sulla conciliazione, sull’organizzazione del lavoro, sulle nuove modalità di lavoro abilitate dalla tecnologia, sull’irragionevolezza di dover rinunciare ai talenti delle donne nel momento in cui diventano madri e i giganti della Silicon Valley, cosa si inventano? Un bel benefit per giovani donne: le dipendenti di Facebook e Apple potranno congelare i loro ovociti quando ancora la fertilità non è a rischio, dedicarsi con tutta tranquillità alla carriera, e decidere di procreare quando un bel po’ di gradini della gerarchia aziendale sranno stati scalati. Avete letto bene. Un bel regalo per permettere alle giovani donne di dedicarsi senza ‘altri pensieri’ al lavoro e procrastinare la maternità a tempo debito. Ma esiste il ‘tempo debito’, il tempo giusto per diventare madri? Voglio credere che lo Steve Jobs del ‘stay hungry, stay foolish’ se fosse ancora vivo si sarebbe opposto fieramente all’introduzione di questo ‘finto’ benefit. Perché qui non si tratta di un sostegno alla maternità, ma dell’esatto opposto. Qui si dice alle giovani donne: siete giovani, appunto, quindi meglio non fare figli ora, quando siete nel pieno delle vostre energie. Quelle energie, usatele per il lavoro. Quando, e solo quando, avrete espresso il meglio di voi, allora sì che potrete dedicarvi anche ad altro. Come se tutto si dovesse poter pianificare. E lo ‘stay foolish’ del nostro caro Steve, lo abbiamo sepolto insieme con lui? Premesso che il messaggio rasenta la minaccia: noi, care giovani donne, vi diamo la possibilità di far carriera, se poi non cogliete al volo l’occasione e vi lasciate cadere nella trappola del pupo, beh care mie, noi vi abbiamo avvertite. Se la carriera non andrà avanti, non vi potrete lamentare… Vi rendete conto? Sono anni che diciamo che è una follia che le donne siano costrette a scegliere, che il sistema deve supportare la maternità, che laddove questo avviene cresce l’occupazione, ne beneficia l’economia, cresce il Pil. Il ‘fattore’ D, come l’ha definito Maurizio Ferrera, non è un’invenzione da femministe fanatiche, ma il risultato di analisi che hanno dimostrato come il lavoro femminile sia un moltiplicatore di opportunità. Ma tutto questo l’ho già scritto e riscritto. Vorrei esprimere con forza lo sdegno per la logica che sottende l’offerta di queste multinazionali alle quali guardiamo con ammirazione, che consideriamo i luoghi migliori nei quali lavorare. Va bene che l’azienda mi metta a disposizione la palestra e decida quando mi devo allenare e quando no. Ma che qualcuno mi dica quando è il momento opportuno per diventare madre questo no, lo trovo inaccettabile. Anche perché il momento giusto non esiste. Non abbiamo mai la casa giusta, gli spazi adeguati, il lavoro giusto, a volte nemmeno il compagno è quello giusto. L’istinto della maternità è qualcosa che non possiamo accettare che venga controllato, o peggio ancora, represso dal nostro datore di lavoro. Ragazze della Silicon Valley, ribellatevi. Perché dopo i quarant’anni avrete anche fatto carriera, ma di energia per alzarvi tre o quattro volte per notte per cullare il neonato, credetemi, ne avrete molta meno. E con l’energia se ne saranno andati anche i sogni. Che nell’App Store non sono in vendita.

Comments (5)

  • Chiara, deponi le frecce. Guardiamo il rovescio della medaglia. Quei mattacchioni sessantottini della Silicon Valley ne han pensata un’altra delle loro. Vogliono offrire alle fanciulle in fiore l’opportunità di procrastinare la maternità durante la vecchiaia, così potranno dedicarsi al libero amore elevato all’ennesima potenza negli anni che il loro corpo è ancora un giardino di delizie. Non è per la carriera, ma per aumentare la possibilità di congiunzioni carnali oltre non essere disturbate dai bambini quando fanno l’amore. Con stima Gabriele

  • Mariateresa Magarini

    E a me che pareva una bella idea! Ci rifletto,ma ti assicuro che la mia chiave di lettura e’ diversa,positiva.
    Non ti nascondo che io sono fermamente convinta che un bebè sia meglio programmarlo e ritengo anche che più sogni hai realizzato(lavorativi e non ),più hai da trasmettere al nuovo arrivato. Qualcuno dà un aiuto in tal senso? Benvenga !

  • Da filosofo, potrei rispondere che la razionalità programmatrice fa parte dei paradigmi fondamentale dell’età moderna come età della tecnica (Heidegger, Adorno…Galimberti). Potrei anche aggiungere, ma non vorrei fosse sembrare provocatorio, che, alla fine, l’idea della programmazione del bebè è l’idea fondamentale che sottende, ormai da decenni, l’uso della pillola…Immagino la risposta: ma, in quegli anni, queste estremizzazioni non c’erano; era solo una questione di maternità/paternità responsabili. Ma Mariateresa dice esattamente questo!

  • Leggendo i commenti temo si stia fraintendendo l’obiettivo, e il significato, della ‘programmazione’, come l’hanno definita Mariateresa e Paolo. E il punto è proprio questo: le aziende, ahimè, non intendono agevolare la programmazione. Le aziende lanciano un messaggio pericolosissimo istituzionalizzando il principio che maternità e carriera sono due percorsi inconciliabili. Le aziende non mettono a disposizione delle loro dipendenti un ‘benefit’ che agevola la programmazione della maternità ma le ‘spingono’ a procrastinarla quando interferirà meno con la carriera. Voi potete immaginare cosa succederà a quelle dipendenti che non vorranno usufruire del benefit mettendo al mondo un figlio senza condividere la programmazione con la direzione del personale? Io la risposta ce l’ho…

  • Riassumerei: un mercato del lavoro che attende un diritto del lavoro tutto da rifondare, dall’interno di una nuova complessità. Ricordando che, al contrario di quanto ormai comunemente si argomenta, anche in questo campo le ideologie non sono esercizi retorici vuoti ma argomentazioni portatrici, in modo imprescindibile, di valori e di interessi. Con le ideologie, dunque, e con i valori e gli interessi, vecchi e nuovi, che esse riflettono, bisogna pur sempre pensare e pur sempre fare i conti (Habermas).

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