La ricerca della felicità

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Anche i giornali non sanno più cosa scrivere. L’Espresso questa settimana scrive che l’Italia non è un Paese per donne – riporto il titolo letterale –.  Solo una su cinque è soddisfatta del proprio lavoro, per le altre un ‘calvario’.
Siamo le più infelici d’Europa il lavoro è all’origine del nostro malcontento. Proseguo nella lettura e noto, con soddisfazione, che la giornalista Roselina Salemi si è accorta di me e della provocazione che ho lanciato con il libro Ci vorrebbe una moglie. Se ci fosse qualcuno disposto a condividere in modo più equilibrato le responsabilità della famiglia sarebbe tutto molto più semplice e invece la giornalista snocciola dati inquietanti: nemmeno il 20% degli uomini fa partire la lavatrice. Non sarà che un po’ di responsabilità ce l’abbiamo anche noi? Non sarà che quel ‘non preoccuparti tesoro faccio io’ ci si sta un po’ ritorcendo contro? Persino io ho insegnato ai miei figli a sparecchiare e caricare e svuotare la lavastoviglie, ma la lavatrice è ancora un territorio ‘off limits’, detersivo e ammorbidente sono roba mia… Ma la soluzione c’è: ci possiamo serenamente trasferire nel nord Europa e, se siamo ancora ragionevolmente in tempo, cercare un marito, compagno fidanzato lì. In Norvegia possiamo anche guadagnare più della nostra dolce metà e per lui sarà meravigliosamente normale. Altro che scelta tra lavoro e famiglia! E poi cos’è tutta questa ossessione per il lavoro, le nostre amiche danesi – leggo nell’articolo – sono più felici perché alla carriera ci pensano meno o, quantomeno, non ripongono nel lavoro così tante aspettative come facciamo noi (pare). Famiglia, vita di coppia, tempo libero, sono altrettanto importanti. Ma se tutto il nostro tempo libero noi lo passiamo a caricare la lavatrice (un’ora e un quarto di tempo in più dedicato alla sfera domestica rispetto ai nostri gentili consorti), la ricerca della felicità diventa una missione impossibile. O no?

Commento

  • E se anche la questione femminile fosse sottoposta alla dinamica moderno-postmoderno? E se le donne danesi rappresentassero il post-moderno? Del resto mi pare – ma ora non ho i giornali utili a supportare questi vaghi ricordi – non siano le uniche ad aver scelto questa via. Più di questo non posso dire: potrei essere sospettato di faziosità maschile! Posso solo ricordare un bel libro, anche se datato: Scott Lash Modernismo e postmodernismo. I mutamenti culturali delle società complesse, Armando Editore, 2000

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