Intervista a Linda Gilli

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Che consiglio darebbe a giovani donne manager che si trovano a dover scegliere tra lavoro e carriera?
Credo che non dovrebbero arrivare a scegliere. Lo Stato dovrebbe fornire un supporto migliore e più servizi; come in Francia ad esempio, dove è stato attuato un piano per tutelare la famiglia. Uomo e donna, in Francia, vivono alla pari, pur nella ricchezza della loro diversità; noi siamo ancora molto lontani. Inoltre, una volta raggiunte posizioni di prestigio, le donne non si devono comportare da uomini, ma portare i propri valori, le proprie competenze. Il mio consiglio alle giovani manager e imprenditrici è di non rinunciare a niente e spingere a una divisione equa di compiti e ruoli, in famiglia come in azienda. Sentendosi gratificate per quello che fanno e chiedendo con forza laddove ritengono di aver diritto a qualcosa. E lavorare per poter competere e dimostrare con i fatti il proprio valore.

Esiste un modello di azienda ‘al femminile’?
Le aziende nate da donne, ad esempio nel terziario, sono tutte ‘al femminile’. Per il momento, però, sono poche, e quindi difficilmente si può pensare a un modello, perché ancora di prima generazione oppure, come nel mio caso, perché gestite da figlie di imprenditori a cui è stato passato il testimone. Teoricamente, le nuove generazioni potrebbero vivere un passaggio al femminile in ruoli chiave; teoricamente, però, perché fino a quando si tratterà di dover fare figli senza avere un valido supporto pubblico, le donne saranno sempre in una situazione di debolezza.

Quanto possono aiutare le nuove tecnologie in una politica di conciliazione?
C’è un problema che è culturale, sociale ed economico insieme. È quello del gap negativo dell’occupazione femminile in Italia rispetto agli altri Paesi europei. Un gap che riguarda molto più le donne che gli uomini e che si accentua per le madri di famiglia. Quindi si presenta il problema di rendere possibile e più facile il rientro al lavoro. È un problema di servizi disponibili, di organizzazione, di mantenimento di know how. Abbiamo analizzato il problema identificando delle modalità per facilitare, compatibilmente con le normative in materia, il mantenimento di un ‘filo conduttore’ anche durante il periodo di congedo obbligatorio, con attività naturalmente non lavorative ma che definirei relazionali-informative. Oggi, con un computer si possono fare moltissime cose anche da casa: le aziende potrebbero essere incentivate sia a mettere a disposizione della futura neo-mamma la strumentazione necessaria, sia a coprire le spese di canone. Poi c’è il problema del rientro, che grazie al telelavoro e alle odierne facilità di collocamento, può essere graduale, almeno fino al diciottesimo mese di età del bambino. In Inaz abbiamo già adottato misure in questo senso ma, ripeto, è auspicabile un quadro di convergenza tra disponibilità delle aziende, normative, atteggiamento delle singole persone e supporto tecnologico.

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